La battaglia italiana sulla canapa light arriva in Europa: ora decide la Corte di Giustizia

La battaglia italiana sulla canapa arriva in Europa: ora decide la Corte di Giustizia | Justbob

Pubblicato il: 13/11/2025

Il rinvio del Consiglio di Stato apre un varco decisivo che potrebbe ribaltare anni di incertezze, restrizioni e contraddizioni legislative

L’Italia si trova al centro di una controversia che dura da anni e che ruota attorno alla canapa industriale, un settore agricolo che ha conosciuto una rapida espansione grazie alla domanda crescente di prodotti contenenti CBD e infiorescenze a basso contenuto di THC.

È una filiera che coinvolge migliaia di aziende e che, in gran parte dell’Europa, opera con regole chiare: la canapa derivata da varietà certificate è trattata come un normale prodotto agricolo. In Italia, però, il quadro è diventato sempre più confuso. Norme contraddittorie, ricorsi, sequestri e sentenze si sono intrecciati fino a generare una situazione paradossale, in cui un prodotto ritenuto legale in molti Stati membri viene al contrario equiparato a una sostanza stupefacente.

In questa situazione così complessa è arrivata l’ordinanza del Consiglio di Stato che ha deciso di rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la domanda più controversa: le infiorescenze di canapa, se provenienti da varietà certificate e con THC minimo, sono un prodotto agricolo tutelato dal diritto europeo o possono essere vietate come se fossero stupefacenti?

Da questa risposta dipende il futuro della filiera italiana e la coerenza del suo impianto normativo con quello degli altri Paesi dell’UE.

Foto di un campo coltivato con piante di canapa legale | Justbob

La lunga genealogia di un conflitto: come si è arrivati al rinvio alla Corte UE

La vicenda affonda le radici nel 2022, quando la Conferenza Stato-Regioni approvò il decreto che inseriva la canapa tra le piante officinali, consentendone però l’uso soltanto per fibra e semi. Quel provvedimento, adottato durante il governo Draghi, sembrava un adeguamento tecnico; divenne invece il punto di partenza di una battaglia giudiziaria.

Le principali associazioni di settore, da Canapa Sativa Italia a Federcanapa, da Sardinia Cannabis a Resilienza Italia, impugnarono la norma davanti al TAR Lazio, sostenendo che non esisteva alcuna base scientifica per vietare i fiori della cannabis sativa quando provenienti da varietà certificate a basso contenuto di THC.

Nel febbraio 2023 il TAR diede loro ragione: annullò la parte del decreto che limitava l’uso della pianta, affermando che un generico richiamo al principio di precauzione non è sufficiente se non accompagnato da evidenze oggettive. Il Tribunale richiamò persino precedenti europei, tra cui la sentenza Kanavape del 2020, che riconoscevano il CBD come sostanza non stupefacente e ribadivano la libera circolazione dei suoi derivati all’interno dell’Unione.

Quando entrò in carica il governo Meloni, i Ministeri dell’Agricoltura, dell’Ambiente e della Salute scelsero di impugnare quella decisione, riaprendo un fronte che nel frattempo si era complicato: il nuovo Decreto Sicurezza aveva introdotto un divieto generalizzato sulle infiorescenze, equiparandole a sostanze stupefacenti indipendentemente dal THC presente.

È in questo clima che il Consiglio di Stato ha affrontato il caso, arrivando però a una conclusione opposta rispetto a quella cercata dall’esecutivo.

I nodi giuridici che hanno spinto il Consiglio di Stato a fermarsi

L’ordinanza del Consiglio di Stato mette in fila una serie di incongruenze che difficilmente potevano essere risolte all’interno dell’ordinamento italiano senza un chiarimento europeo.

I giudici partono da un dato che, per quanto spesso ignorato nel dibattito politico, è inequivocabile: il diritto europeo non distingue tra le diverse parti della pianta di canapa. Non separa fibra e semi da foglie e infiorescenze. Le varietà ammesse sono le stesse, e il limite di THC fissato dal legislatore comunitario vale per l’intera pianta.

Da questa constatazione deriva il primo grande dubbio: una normativa nazionale può vietare l’uso e la commercializzazione delle infiorescenze quando queste provengono da varietà certificate e rispettano i limiti europei?

Il rischio che una simile scelta violi gli articoli 34 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’UE, quelli che tutelano la libera circolazione delle merci, è evidente. Di fronte a un THC “estremamente basso”, come sottolineato dall’ordinanza, la giustificazione basata sulla tutela della salute pubblica diventa fragile e poco proporzionata.

Il secondo nodo riguarda il Testo Unico sugli Stupefacenti: in Italia fiori, foglie, oli e resine sono inseriti in tabella II senza alcuna soglia.

Una classificazione così assoluta, priva di gradazioni, entra in tensione con la Politica Agricola Comune, con le norme sulla concorrenza e con le sentenze europee che hanno più volte chiarito che il CBD non è una sostanza psicotropa. È questa sovrapposizione tra diritto agricolo e diritto penale a produrre l’attuale paralisi normativa, che ora passa nelle mani della Corte di Giustizia.

Effetti immediati e possibili scenari: cosa cambia per imprese e tribunali

Il rinvio a Lussemburgo ha un effetto immediato: sospende il procedimento italiano.

Il Consiglio di Stato ha congelato il proprio giudizio fino alla pronuncia europea. Ma l’impatto non si ferma qui. È molto probabile che i giudici di merito (civili, penali e amministrativi) seguano la stessa strada, in attesa dell’interpretazione vincolante della Corte UE.

Secondo l’avvocato Giacomo Bulleri, che ha seguito il ricorso per le associazioni, questa sospensione potrebbe generare un vero e proprio effetto domino: molti processi verranno riuniti o congelati, riducendo il rischio di condanne o sequestri che, alla luce del quadro giuridico complessivo, rischiano di rivelarsi infondati.

Sul piano economico la sentenza avrà un impatto decisivo. La filiera italiana della canapa conta migliaia di imprese e decine di migliaia di lavoratori, con un indotto che tocca l’agroindustria, la cosmetica, l’erboristeria, gli integratori e il florovivaismo.

Un divieto generalizzato sulle infiorescenze, prodotto che in Europa è ampiamente commercializzato, significa penalizzare un mercato interno che, paradossalmente, è nato proprio in Italia nel 2017. La domanda europea esiste e cresce, mentre la normativa italiana, unica nel panorama dell’Unione, rischia di tagliare fuori un intero settore che altrove è già regolamentato come agricolo.

Foto esterna del parlamento europeo | Justbob

Un banco di prova della coerenza europea: la posta in gioco è più ampia della canapa

La decisione della Corte di Giustizia non avrà effetti soltanto sul mercato della canapa. Riguarderà, più in generale, la possibilità per uno Stato membro di introdurre restrizioni su un prodotto agricolo che, per normativa comunitaria, appartiene al libero scambio interno.

Se la Corte dovesse ravvisare un contrasto tra la normativa italiana e quella europea, le parti di legge incompatibili verrebbero disapplicate automaticamente. Non si tratterebbe di una scelta politica, ma di un meccanismo previsto dai trattati: il diritto dell’Unione prevale su quello nazionale quando entra in conflitto con principi fondamentali come la libera circolazione delle merci e la proporzionalità delle misure restrittive.

Per questo il rinvio del Consiglio di Stato assume un valore che va oltre il caso specifico. La vicenda mette a nudo un cortocircuito tra politica interna e norme comunitarie che negli ultimi anni è emerso in altri ambiti, ma che qui si presenta in forma particolarmente evidente: da una parte un settore agricolo innovativo, riconosciuto e regolamentato dalla maggioranza dei Paesi UE; dall’altra un quadro legislativo italiano che continua a trattare fiori e foglie come stupefacenti a prescindere, senza considerare il contenuto di THC né le evidenze scientifiche.

Un’occasione per riportare razionalità in un dibattito distorto

Dal rinvio alla Corte di Giustizia nascerà inevitabilmente una verità giuridica più solida dell’altalena normativa degli ultimi anni.

Qualunque sarà la decisione, costringerà l’Italia a fare i conti con anni di contraddizioni che hanno confuso operatori, consumatori e istituzioni. Se l’UE confermerà che la canapa industriale è un prodotto agricolo a tutti gli effetti, come indicano già le sentenze e i regolamenti in discussione, allora sarà difficile continuare a giustificare sequestri, procedimenti penali e divieti generalizzati su infiorescenze e CBD.

Nei prossimi mesi il dibattito italiano si misurerà con un principio che, finora, è rimasto troppo spesso sullo sfondo: le politiche agricole e quelle sugli stupefacenti non possono sovrapporsi senza produrre distorsioni gravi.

La decisione di Lussemburgo sarà uno spartiacque. E forse segnerà anche l’inizio di un approccio più razionale, meno ideologico, capace di riconoscere un settore che chiede soltanto di essere regolato con chiarezza, rigore e coerenza.

Questo è tutto, per ora. Vi terremo aggiornati sugli sviluppi della vicenda sempre qui su Justbob!

La battaglia italiana sulla canapa arriva in Europa: takeaways

  • La decisione del Consiglio di Stato di rivolgersi alla Corte di Giustizia mette in luce un contrasto profondo tra la normativa italiana, che continua a trattare le infiorescenze di canapa come sostanze stupefacenti, e il diritto dell’Unione, che considera il chanvre proveniente da varietà certificate un prodotto agricolo soggetto alla libera circolazione. Questo conflitto evidenzia un impianto nazionale incoerente e difficilmente compatibile con le regole del mercato interno.
  • Il rinvio a Lussemburgo sospende il procedimento italiano e potrebbe portare numerosi giudici civili, penali e amministrativi a congelare i procedimenti in corso. Per un settore composto da migliaia di imprese significa ridurre il rischio di sequestri e sanzioni nell’attesa di un chiarimento europeo che potrebbe ridefinire l’intera filiera.
  • La futura decisione della Corte di Giustizia avrà un impatto che va oltre il settore della canapa: stabilirà fino a che punto uno Stato membro possa imporre restrizioni a un prodotto agricolo riconosciuto dal diritto dell’Unione. Se dovesse emergere una incompatibilità tra la normativa italiana e quella europea, le disposizioni nazionali non potranno più essere applicate, aprendo la strada a un quadro più chiaro, coerente e allineato ai principi di proporzionalità e libera circolazione.

La battaglia italiana sulla canapa arriva in Europa: FAQ

Perché il Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte di Giustizia il caso sulle infiorescenze di canapa?

Il Consiglio di Stato ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia perché la normativa italiana sulle infiorescenze potrebbe violare il diritto europeo. L’UE considera la canapa industriale un prodotto agricolo senza distinguere tra semi, fibra e infiorescenze. Vietare queste ultime, se provenienti da varietà certificate e con THC minimo, rischia di ostacolare la libera circolazione delle merci e di risultare una misura sproporzionata rispetto alla tutela della salute pubblica.

Quali effetti immediati ha il rinvio del Consiglio di Stato sul mercato della canapa in Italia?

Il rinvio sospende il procedimento e potrebbe portare molti tribunali italiani a congelare casi simili in attesa della risposta della Corte UE. Questo riduce il rischio di sequestri e condanne in un settore che opera da anni in un quadro normativo incerto. L’impatto economico è rilevante: migliaia di imprese dipendono dalle infiorescenze e dai derivati della canapa industriale.

Cosa potrebbe accadere se la Corte di Giustizia dovesse bocciare la normativa italiana sulle infiorescenze?

Se la Corte UE dovesse riconoscere le infiorescenze come prodotto agricolo soggetto alle regole europee, le norme italiane incompatibili andrebbero disapplicate. Ciò comporterebbe la fine dei divieti generalizzati, un necessario adeguamento della normativa nazionale alla PAC e alla libera circolazione, e il superamento delle contraddizioni che hanno paralizzato il settore.