Pubblicato il: 23/12/2025
La marijuana di oggi è più potente rispetto a quella consumata per decenni? Non è una leggenda metropolitana, ma un fenomeno documentato dalla ricerca scientifica: vediamo cosa dicono gli studi
La questione della potenza della cannabis solleva interrogativi importanti che vanno oltre la semplice curiosità. Capire come e perché la concentrazione di principi attivi sia cambiata nel tempo permette di inquadrare meglio le dinamiche di consumo e le conseguenze che questi cambiamenti possono avere sulla salute pubblica e sulla percezione sociale della sostanza.
Un’analisi obiettiva diventa fondamentale per distinguere i dati reali da alcune narrazioni semplicistiche, un aspetto fondamentale per chi cerca informazioni affidabili su questo argomento complesso e spesso controverso.
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L’evidenza scientifica dell’aumento di potenza della marijuana
Alcune delle ricerche più complete sul tema della potenza della cannabis provengono dal Potency Monitoring Program, un progetto coordinato dal National Institute on Drug Abuse degli Stati Uniti e condotto presso l’Università del Mississippi.
I dati raccolti nel corso di oltre cinquant’anni mostrano una tendenza chiara: la concentrazione media di THC nella cannabis è aumentata di oltre dieci volte rispetto ai livelli registrati negli anni Settanta. L’aumento del THC è stato documentato anche in Europa, Nuova Zelanda e in altri continenti, suggerendo che si tratti di un fenomeno globale legato a trasformazioni nelle tecniche di coltivazione.
Un’analisi pubblicata nel 2024 ha esaminato oltre ottantamila campioni di cannabis raccolti tra il 1970 e il 2017 in sette paesi diversi. I risultati indicano che la concentrazione di THC nella cannabis erbacea è aumentata del 14% nel periodo considerato, mentre nelle resine di cannabis l’incremento ha raggiunto il 24%. Questi numeri sono medie generali e nascondono variazioni significative tra diverse tipologie di prodotto e aree geografiche, ma il trend generale rimane chiaro e coerente.
Livelli così elevati non sono casuali, ma frutto di un processo di selezione genetica e perfezionamento delle tecniche colturali, che ha trasformato radicalmente il panorama della coltivazione di cannabis nell’arco di poche generazioni.
Le cause dell’incremento di potenza della marijuana
L’aumento della concentrazione di THC nella marijuana moderna è riconducibile a tre fattori interconnessi: la selezione genetica, l’adozione di tecniche di coltivazione avanzate e la diffusione della coltivazione sinsemilla.
La selezione genetica ha permesso ai coltivatori di identificare e far crescere le piante con le caratteristiche desiderate, concentrandosi in particolare sulla produzione di resina ricca di THC. Questa pratica, affinata nel corso dei decenni, ha portato allo sviluppo di varietà sempre più potenti che rispondono alle richieste di un mercato che privilegia prodotti ad alta concentrazione di principio attivo.
La tecnica della coltivazione sinsemilla, sviluppata inizialmente in Messico nella regione di Sinaloa, è uno dei cambiamenti più significativi nel settore. Il termine sinsemilla deriva dallo spagnolo e significa letteralmente “senza semi”: questa metodologia prevede l’isolamento delle piante femmine dalle piante maschio, impedendo la fecondazione e di conseguenza la produzione di semi.
Quando una pianta femmina non viene fecondata, concentra tutta la propria energia nella produzione di fiori ricchi di resina: in questo modo, aumenta la concentrazione di cannabinoidi. Questo approccio ha rivoluzionato la coltivazione moderna e ha contribuito in modo determinante all’aumento della potenza media della cannabis disponibile sul mercato.
Le tecniche colturali si sono evolute parallelamente, con l’introduzione di sistemi di coltivazione indoor che permettono un controllo preciso di temperatura, umidità, illuminazione e nutrizione delle piante. Gli ambienti controllati favoriscono la crescita di esemplari ottimizzati per la produzione di THC, eliminando molte delle variabili ambientali che in passato limitavano le rese e la qualità del raccolto. L’insieme di questi fattori ha trasformato la coltivazione di cannabis da pratica agricola tradizionale a processo tecnologicamente avanzato, con risultati che si riflettono direttamente nei livelli di potenza documentati dagli studi scientifici.


I problemi metodologici nella misurazione storica
Nonostante dati molto solidi dimostrino l’aumento di potenza della marijuana, esistono alcune criticità metodologiche a cui prestare attenzione.
Una delle questioni più rilevanti riguarda la conservazione e il degrado dei campioni utilizzati per le analisi comparative. Il THC è una molecola instabile che tende a degradarsi nel tempo, specialmente se esposta a luce, calore e ossigeno. Studi sulla stabilità della cannabis hanno dimostrato che il contenuto di THC può diminuire del tre-cinque percento al mese quando il materiale viene conservato a temperatura ambiente, con riduzioni importanti già nei primi trenta giorni.
Questa caratteristica solleva interrogativi sulla comparabilità tra campioni recenti analizzati poco dopo la raccolta e campioni storici che potrebbero essere stati conservati per anni o decenni prima dell’analisi. Se i campioni degli anni Settanta hanno subito un degrado sostanziale prima di essere testati, le concentrazioni di THC rilevate potrebbero essere inferiori a quelle realmente presenti al momento del raccolto: questo non invalida i risultati complessivi degli studi sulla potenza, ma suggerisce che l’incremento potrebbe essere stato leggermente sovrastimato in alcune analisi.
Un altro problema metodologico riguarda la mancanza di standardizzazione nei metodi di analisi della cannabis. Attualmente non esistono materiali di riferimento certificati per la cannabis con concentrazioni note di cannabinoidi: laboratori diversi utilizzano tecniche diverse, principalmente cromatografia liquida o gassosa, ma senza standard comuni per la calibrazione e la validazione dei risultati. Questo significa che le misurazioni ottenute da laboratori diversi, dal punto di vista tecnico, non sono comparabili tra loro, introducendo un margine di incertezza nelle analisi comparative.
Il ruolo del CBD e il cambiamento dei rapporti
Mentre i livelli di THC sono aumentati costantemente, la concentrazione di cannabidiolo, comunemente chiamato CBD, non ha seguito la stessa traiettoria. Le analisi condotte su campioni storici e contemporanei non hanno rilevato variazioni significative nei livelli di CBD nel corso del tempo.
Il CBD e il THC interagiscono con il sistema endocannabinoide umano in modi diversi. Il THC si lega principalmente ai recettori CB1, presenti soprattutto nel sistema nervoso centrale, producendo effetti psicoattivi caratteristici come alterazione della percezione, euforia e modificazioni cognitive. Il CBD invece si lega ai recettori CB2, distribuiti soprattutto nel sistema immunitario e nei tessuti periferici, e agisce come antagonista parziale dei recettori CB1: ciò significa che il CBD può modulare e attenuare alcuni degli effetti del THC, tra cui ansia, paranoia, tachicardia e le sensazioni di intossicazione più intense.
Nelle varietà di cannabis tradizionali, il rapporto tra CBD e THC era relativamente equilibrato, con il CBD che svolgeva una funzione moderatrice sugli effetti del THC. La selezione genetica orientata esclusivamente all’aumento del THC ha progressivamente sbilanciato questo rapporto, creando varietà con concentrazioni molto elevate di THC e quantità minime di CBD.
La cannabis legale e il mercato del CBD in Italia
In Italia, la situazione normativa riguardante la cannabis e i suoi derivati ha subito importanti modifiche nel corso degli anni. La Legge 242 del 2016 aveva inizialmente aperto la strada alla coltivazione di canapa per usi industriali e alla commercializzazione della cosiddetta cannabis light, ossia infiorescenze con contenuto di THC entro lo 0,5%: il mercato dei derivati aveva conosciuto una rapida espansione, con la nascita di numerose attività commerciali dedicate alla vendita di prodotti a base di CBD derivati dalle infiorescenze.
Con l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza 2025, il quadro normativo è cambiato drasticamente. Il decreto ha reso illegali i prodotti a base di CBD ricavati dalle infiorescenze, equiparandoli di fatto alle sostanze stupefacenti, indipendentemente dal contenuto effettivo di THC. La motivazione ufficiale di questa stretta normativa risiede nell’impossibilità di distinguere visivamente le infiorescenze con quantità di THC legale (quindi irrisorie) da quelle con concentrazioni superiori ai limiti consentiti. Attualmente il CBD rimane legale in Italia solo se estratto da parti specifiche della pianta di canapa, quali foglie, fusti e semi, mentre è vietata la coltivazione, il trasporto, la detenzione e la commercializzazione di infiorescenze e dei prodotti derivati.
THC: i problemi legati all’aumento della concentrazione
L’aumento della concentrazione di THC nella cannabis solleva questioni che vanno analizzate con obiettività. Da un lato, laddove in cui il consumo di cannabis è legale o depenalizzato per uso terapeutico (e in alcuni Stati anche ricreativo), una maggiore potenza può significare che quantità minori di prodotto sono sufficienti per ottenere gli effetti desiderati. Dall’altro lato, concentrazioni elevate di THC possono aumentare il rischio di effetti avversi, specialmente in consumatori occasionali o in persone che non hanno sviluppato tolleranza alla sostanza.
Alcuni studi epidemiologici hanno documentato un aumento delle visite al pronto soccorso correlate al consumo di cannabis negli ultimi decenni. Tra il 2005 e il 2010, le ammissioni ospedaliere legate alla cannabis sono aumentate del 53,6 percento negli uomini e del 42,9 percento nelle donne, un incremento che potrebbe essere in parte attribuibile all’aumento della potenza del prodotto disponibile sul mercato.
Questi dati non dimostrano una relazione causale diretta, ma suggeriscono che la maggiore concentrazione di THC potrebbe contribuire a un profilo di rischio modificato rispetto alla cannabis tradizionale.
È importante sottolineare che l’effetto complessivo della cannabis non dipende soltanto dalla concentrazione di THC. La teoria dell’effetto entourage suggerisce che l’azione della pianta sia il risultato dell’interazione sinergica tra decine di cannabinoidi e terpeni presenti nel fitocomplesso: ciò significa che varietà con concentrazioni identiche di THC possono produrre effetti diversi a seconda del profilo complessivo dei composti presenti.
La selezione genetica orientata esclusivamente all’aumento del THC potrebbe quindi aver impoverito il profilo fitochimico complessivo della cannabis moderna, riducendo la complessità degli effetti rispetto alle varietà tradizionali.


Marijuana e prodotti legali a base di CBD
Una confusione frequente riguarda la differenza tra marijuana ad alto contenuto di THC e prodotti legali a base di CBD. Sebbene entrambi derivino dalla stessa specie vegetale, Cannabis sativa, le differenze in termini di composizione chimica, effetti e status legale sono sostanziali. Il CBD non produce effetti psicoattivi e non altera lo stato di coscienza, caratteristiche che lo rendono completamente diverso dal THC sotto il profilo farmacologico.
Justbob offre agli appassionati olio di CBD e altri derivati della canapa soltanto per uso collezionistico, tecnico e di ricerca. La distinzione tra questi prodotti e la cannabis ad alto contenuto di THC è fondamentale per comprendere il panorama attuale del mercato legale e per evitare confusioni che potrebbero generare aspettative inappropriate o fraintendimenti sulle caratteristiche e gli effetti dei diversi prodotti disponibili. Consigliamo sempre di rispettare le normative relative al consumo di cannabis.
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Potenza della marijuana: prospettive future
La tendenza all’aumento della potenza della marijuana non mostra segni di inversione. Al contrario, le tecniche di coltivazione continuano a evolversi e la ricerca genetica applicata alla cannabis sta raggiungendo livelli di sofisticazione paragonabili a quelli dell’agricoltura industriale moderna. In alcuni mercati regolamentati, questa evoluzione è accompagnata da sistemi di etichettatura che indicano con precisione la concentrazione di cannabinoidi; tuttavia, alcuni studi hanno rilevato che solo il 17% dei prodotti analizzati presentava un contenuto di THC corrispondente a quanto dichiarato.
La standardizzazione dei metodi di analisi è una priorità per garantire la sicurezza e la trasparenza del mercato, sia legale che regolamentato. L’adozione di protocolli comuni per la misurazione della potenza potrebbero risolvere molti dei problemi di metodo attuali, permettendo confronti affidabili tra laboratori e periodi temporali diversi. Progressi del genere sarebbero particolarmente rilevanti nei contesti in cui la cannabis è utilizzata per scopi terapeutici, dove il dosaggio preciso dei principi attivi è essenziale per garantire efficacia e sicurezza dei trattamenti.
Dal punto di vista della salute pubblica, la disponibilità di cannabis sempre più potente richiede strategie di informazione e prevenzione adeguate. Nei paesi dove il consumo è legale o depenalizzato, sono necessari programmi educativi che informino sui rischi associati alle alte concentrazioni di THC e sulle strategie per ridurre i potenziali effetti avversi.
La ricerca continua a esplorare le implicazioni a lungo termine del consumo di marijuana ad alta potenza, con particolare attenzione agli effetti sullo sviluppo cerebrale nei giovani e sui rischi di dipendenza e disturbi psichiatrici in popolazioni vulnerabili.
Potenza della marijuana: takeaways
- L’aumento della potenza della marijuana risulta evidente dalle analisi svolte negli ultimi cinquant’anni, che mostrano concentrazioni di THC molto più elevate rispetto alle varietà tradizionali e un rapporto con il CBD sempre più sbilanciato, con effetti percepiti diversi da quelli del passato;
- Le pratiche di coltivazione moderne, la selezione genetica mirata e la diffusione della sinsemilla hanno portato alla produzione di varietà più ricche di resina e con profili fitochimici meno equilibrati, modificando al tempo stesso la qualità e l’intensità degli effetti;
- Le incertezze legate alla conservazione dei campioni storici e l’assenza di standard comuni nei metodi di analisi incidono sulla precisione dei confronti, ma il trend rimane evidente e suggerisce di valutare con attenzione l’impatto di questi cambiamenti sulla salute e sulle future regolamentazioni.
Potenza della marijuana: FAQ
La marijuana di oggi è davvero più potente rispetto al passato?
Sì, l’aumento della potenza della marijuana è un fenomeno documentato dalla ricerca scientifica. I dati del Potency Monitoring Program mostrano che la concentrazione media di THC è aumentata di oltre dieci volte rispetto agli anni Settanta. Un’analisi pubblicata nel 2024 su oltre ottantamila campioni ha rilevato un incremento del 14% nella cannabis erbacea e del 24% nelle resine tra il 1970 e il 2017.
Quali sono le cause dell’aumento di potenza della marijuana?
L’incremento è dovuto principalmente a tre fattori: la selezione genetica mirata, l’adozione di tecniche di coltivazione avanzate e la diffusione della coltivazione sinsemilla. Quest’ultima tecnica prevede l’isolamento delle piante femmine per impedire la fecondazione, concentrando così l’energia nella produzione di fiori ricchi di resina e cannabinoidi. Le coltivazioni indoor con controllo preciso di temperatura, umidità e illuminazione hanno ulteriormente ottimizzato la produzione di THC.
Che differenza c’è tra la marijuana ad alto THC e i prodotti legali a base di CBD?
Sebbene entrambi derivino dalla Cannabis sativa, le differenze sono sostanziali. Il CBD non produce effetti psicoattivi e non altera lo stato di coscienza, a differenza del THC che si lega ai recettori CB1 del sistema nervoso centrale. In Italia, dopo il Decreto Sicurezza 2025, il CBD è legale solo se estratto da foglie, fusti e semi della canapa, mentre sono vietate le infiorescenze e i prodotti derivati.






