Il rastafarianesimo: principi e usanze di questa religione troppo spesso fraintesa

Principi e usanze del rastafarianesimo

Modificato il: 10/09/2025

Tra dreadlocks e consumo di marijuana: approfondiamo qualche luogo comune

Al giorno d’oggi, è molto comune trovarsi a ragionare per associazione di idee. Questo meccanismo, detto pregiudizio, a livello biologico altro non è che un’utilissima tecnica del cervello umano per velocizzare la presa delle decisioni e aumentare, quindi, la nostra efficienza.

Estremizzare questo processo, ha portato poi al pregiudizio per come lo conosciamo oggi: una discriminazione infondata basata su associazioni di idee spesso ingiustificate.

È questo il caso, fra tanti altri, di tutte quelle persone che decidono di portare i dreadlocks.

Spesso, infatti, riferimenti alla cultura rastafariana hanno portato a penalizzare la categoria sulla base della credenza che alla base di questa cultura ci sia la trascuratezza dell’igiene personale e il consumo smodato di marijuana (a volte meglio preferire la canapa light!).

Ma è davvero così?

In questo articolo ti parlo delle origini della religione rastafariana e delle motivazioni reali delle relative usanze.

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Come nasce il rastafarianesimo?

Il movimento religioso dei rasta nasce in Etiopia e prende il nome dalla carica, appunto, di Ras Tafari. In lingua etiope Ras sta per “testa” o “principe” e Tafari “essere temuto”.

Con questo titolo, per gli appartenenti al sistema rasta, ci si riferisce a Haile Selassie che nel 1930 fu incoronato Imperatore di Etiopia. In occasione dell’incoronazione, a Selassie furono attribuiti una serie di titoli, quali “Leone di Giuda, Re dei Re, eletto di Dio”.

Questo avvenimento scatenò molteplici ripercussioni in tutto il mondo, arrivando a coinvolgere l’intera comunità appartenente alla cultura afro-caraibica.

Così, anche in paesi estremamente distanti dall’Etiopia, cominciò a diffondersi la convinzione che Haile Selassie fosse il nuovo messia, successore, quindi, di Gesù.

La forza di questa credenza fu talmente potente da portare predicatori come Joseph Hibbert, che viveva a Kingston in Giamaica, a dichiarare pubblicamente che Haile fosse il nuovo messia.

Ma quali sono i principi che stanno alla base di questa corrente religiosa?

La teologia rastafariana si basa sulla morale cristiana e ne rappresenta un’evoluzione. I rasta, infatti, osservano i 10 comandamenti del Sinai e condividono le regole d’amore verso il prossimo professate da Gesù Cristo.

Ma la loro ideologia non si limita a questo. Gli appartenenti alla cultura e religione rastafariana, infatti, secondo la predicazione di Selassie, nutrono un profondo rispetto per tutte le altre culture religiose. Credono, inoltre, nell’osservanza e nel rispetto della morale naturale e dei diritti umani universali, indipendentemente dalle posizioni religiose adottate o condivise, che ritengono di non poter o dover giudicare.

I rasta, infatti, sono dottrinalmente contrari al settarismo religioso o al fanatismo.

Tra i pilastri della corrente rastafariana troviamo anche il principio dell’autodeterminazione dei popoli, il principio della sicurezza collettiva, dell’uguaglianza dei diritti della non-interferenza.

I rasta osservano i 10 comandamenti del Sinai

In aggiunta, credono nella necessità e nel rispetto di un ordine sovranazionale che abbia come obiettivo la risoluzione pacifica dei conflitti e la soluzione dei problemi della collettività, e ripudi la guerra in ogni sua forma.

I rasta, inoltre, reputano necessaria la costruzione di sistemi politici democratici e liberali che osservino la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e difendano la libertà economica, civile, spirituale e culturale, e che rifiutino ogni ideologia totalitaristica che assorba l’anima dell’uomo, di esclusiva proprietà di Dio.

Credono anche nella necessità che lo Stato sia impegnato socialmente e che vada ben oltre la garanzia della libertà, guidando e educando l’uomo, anche laicamente, al rispetto di Dio e del prossimo.

L’ultimo punto chiave del rastafarianesimo consiste nell’attenzione da dedicare alle condizioni del continente africano che, a seguito di secoli di aggressioni e sfruttamento, è meritevole di riscatto.

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I dreadlocks, molto di più di una moda

I dreadlocks sono forse il simbolo della cultura rasta che viene subito in mente quando ne sentiamo parlare. Ma sappiamo davvero cosa rappresentano?

Le motivazioni alla base di questa usanza sono da ricercare nell’interpretazione delle Sacre Scritture.

E so che non l’avresti mai detto…

Secondo i rasta, infatti, le sembianze delle capigliature con i dread rievocano la criniera di un leone, simbolo della tribù di Giuda. In un passaggio della Bibbia si può leggere come i fedeli fossero invitati a non far toccare il loro capo da nessuna lama e, più esplicitamente, a non tagliarsi barba né capelli finché i figli di Giuda di Babilonia non fossero stati liberati.

I rasta, quindi, hanno abbracciato questo invito, consacrando le loro teste alla causa di giuda e promettendo di tagliarsi i capelli solamente dopo che il loro popolo verrà liberato.

Ma le usanze dei seguaci della religione rastafariana non finiscono qui. Spesso, infatti, – oltre ai tipici dreadlocks – un altro elemento viene associato alla loro cultura: il consumo di marijuana o di altri prodotti a base di thc e cbd, come l’hashish (anche qui noi ti consigliamo di preferire sostanze a base di cbd, come l’hashish cbd). Ma come mai?

I rasta e l’utilizzo della cannabis: cosa c’è dietro questa particolare usanza?

Come dicevo, quando si pensa ai rasta è quasi impossibile non visualizzare lo stereotipo del giamaicano con i dread che fuma uno spinello gigante. Ma da dove arriva questo parallelismo?

La cultura rastafariana, al contrario di quello che la maggior parte di noi pensa, non vede nel consumo di marijuana un atto necessario alla salvezza morale o spirituale.

Per i rasta, si tratta piuttosto di una sacra attività meditativa, priva di scopi edonistici o ricreativi. Infatti, a torto o a ragione, considerano la marijuana come una pianta officinale dalle molteplici proprietà benefiche, come del resto viene confermato dagli ormai numerosi studi condotti al riguardo.

La cannabis è inoltre considerata come una potente risorsa – non solo medicinale, ma anche materiale – fondamentale per il benessere e il progresso delle nazioni.

La dimensione non ricreativa dell’utilizzo della marijuana è peraltro confermata da un ulteriore precetto fondamentale per questa cultura: la predicazione dell’autocontrollo e della disciplina morale, tanto da ripudiare ogni forma di ubriachezza.

I dread rievocano la criniera di un leone

Radici storiche, musica e figure simboliche del rastafarianesimo

Per comprendere davvero il rastafarianesimo non basta soffermarsi sulle tradizioni legate ai dreadlocks o al consumo rituale di cannabis: è necessario guardare alle sue radici, alla sua storia e alle figure che hanno dato vita a una vera e propria dottrina spirituale e culturale.

Il movimento affonda le sue origini nei primi decenni del Novecento, quando il pensatore giamaicano Marcus Garvey, attivo tra la Giamaica e l’America, lanciò un messaggio di riscatto per i popoli neri e per tutti coloro che avevano subito secoli di schiavitù e oppressione. Egli profetizzò il ritorno di un nuovo sovrano africano che sarebbe stato riconosciuto come guida e divinità terrena. Pochi anni dopo, questa visione si materializzò con l’incoronazione di Hailé Selassié I, ultimo imperatore d’Etiopia, visto dai rastafariani come il legittimo erede del trono di Davide e diretto discendente della stirpe salomonica.

Il regno di Hailé Selassié, conosciuto anche come il “Leone di Giuda”, divenne così il punto di riferimento e la terra promessa per milioni di fedeli che vedevano in lui il simbolo della liberazione, del ritorno in Africa e della resistenza contro il colonialismo. Questo legame con la patria africana ha plasmato una parte essenziale della spiritualità rasta, unita al profondo rifiuto dell’oppressione e delle forme di alienazione che molti associavano alla società occidentale, incluse la dipendenza da alcol e droghe pesanti.

Un altro pilastro fondamentale dell’identità rastafariana è la musica reggae, che ha rappresentato il canale più potente di diffusione di questi contenuti spirituali e culturali. Attraverso il reggae e i testi densi di significato, i rasta hanno potuto raccontare al mondo il proprio contesto storico, le lotte sociali e la ricerca di pace e giustizia. Non a caso, il più famoso tra i musicisti rasta, Bob Marley, con la sua musica ha reso universali i principi del movimento, trasformando la cultura giamaicana in un fenomeno globale e contribuendo alla sua straordinaria popolarità.

Le liriche di Marley e di altri artisti nascevano spesso dall’ispirazione religiosa, dall’amore per la patria, dal legame con la chiesa cristiana ortodossa (alla quale lo stesso Hailé Selassié apparteneva) e da un profondo rispetto per il cristianesimo reinterpretato in chiave africana. Il loro contenuto, intriso di spiritualità e impegno politico, portava un messaggio di unità e uguaglianza universale.

La nascita e lo sviluppo del rastafarianesimo mostrano quindi come un movimento religioso possa fondere spiritualità, cultura giamaicana, musica e resistenza sociale. Ancora oggi, a Montego Bay e in molte altre città dell’isola, nonché in comunità sparse per il mondo, questo credo rappresenta un vero e proprio viaggio di fede e un richiamo costante al ritorno alle radici africane.

Per concludere, quindi, quali sono i principi del rastafarianesimo?

In conclusione, abbiamo potuto vedere che la cultura rastafariana è molto di più di una pettinatura particolare e della marijuana in spiaggia.

I rappresentanti del rastafarianesimo, infatti, sono seguaci di un movimento prima di tutto religioso ma anche e soprattutto culturale. A differenza di molte altre religioni che non ammettono la laicità, i rasta credono in principi ben ancorati alla vita reale e di conseguenza condivisibili anche da chi non si sente particolarmente coinvolto dall’aspetto spirituale, ma sente una responsabilità sociale.

Al contrario, poi, di quello che la maggioranza di noi erroneamente associa al loro modo di vivere la vita, anche il ricorso alla marijuana – considerata erba officinale e risorsa economica in generale – è tutt’altro che ricreativo, nel rispetto delle loro credenze che rifiutano l’edonismo fine a se stesso.

Per i rasta, infatti, la cannabis rappresenta un aiuto alla meditazione, sacra per loro in quanto mezzo per avvicinarsi a Dio.

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