Gli usi religiosi della cannabis: dal rastafarianesimo al buddismo

Gli usi religiosi della cannabis | Justbob

Pubblicato il: 05/04/2024

In quali culti viene utilizzata la marijuana?

Oggi se si parla di marijuana legale, cannabidiolo (CBD), erba light e cannabis in genere, si pensa immediatamente a prodotti a scopo ricreativo o terapeutico.

Ma, come riportato dagli antropologi, dall’inizio dei tempi, l’uomo ha sempre utilizzato sostanze psicotrope e psicoattive a scopo rituale.

Sostanze come la cannabis favorivano la meditazione e l’escapismo, la fuga da se stessi, e la connessione con la divinità.

Molti fedeli, mistici e asceti, hanno esplorato nel corso della storia le proprietà della marijuana e la sua capacità di alterare la percezione sensoriale.

È documentato da molti studi etnografici come la marijuana per secoli venne usata (e ancora oggi ci sono testimonianze a riguardo) in molti riti ancestrali, come se favorisse il passaggio dalle sensazioni terrene a un dialogo con l’ultraterreno.

Le prime testimonianze della cannabis sono state rinvenute in Cina in raffigurazioni e corredi funerari di tombe risalenti al 4.500–3.750 a.C, durante la Cultura di Yangshao diffusa nel bacino del Fiume Giallo.

Inoltre già nell’antico Egitto si trova testimonianza della pianta, detta Qunnapu, in una tavoletta di Assurbanipal dell’VIII secolo.

Pensate che, secondo alcuni storici, la dea della scrittura Seshat veniva raffigurata nell’iconografia con una foglia di canapa sulla testa mentre era intenta a scrivere.

Successivamente la cannabis giunse fino a noi europei dal Medio Oriente grazie ai Crociati durante il Medioevo.

In quest’articolo vedremo e approfondiremo l’impiego della cannabis in molte fedi, le più diverse tra loro, ma accomunate tutte dall’esigenza di evasione dalla comune percezione per connettersi con il trascendente e il sovrannaturale.

Speriamo che sia un viaggio affascinante alla scoperta di religioni e filosofie, attraverso i secoli, fino a oggi. Vedremo come l’umanità dagli albori dei tempi a oggi abbia sempre sentito la necessità di spiritualità e come la marijuana spesso sia stata uno strumento utile per mettersi in contatto con una dimensione soprannaturale.

Ragazzo con i dreadlock | Justbob

La marijuana nel culto rastafari

Nell’accezione comune, se si pensa a marijuana e religione, si procede con l’associazione pavloviana: cannabis e rastafarianesimo.

Ciò è dovuto inopinatamente alla fama di Bob Marley, storico cantautore e musicista giamaicano, alfiere della musica reggae.

Marley si convertì dal cristianesimo al rastafarianesimo nel 1967 e da quel momento cominciò a fare molti riferimenti nei suoi brani al culto rastafariano e all’utilizzo di marijuana a scopo ricreativo ma non solo, anche escapista in un certo qual modo.

Ma cos’è il rastafarianesimo?

Si tratta di un movimento politico-religioso sorto in Giamaica negli anni ‘30 tra i neri in chiave anti-colonialista.

Il messia e leader riconosciuto fu l’Imperatore e negus d’Etiopia, Ḫāyla Sellāsyē (che significa ‘potere della Trinità’), conosciuto in precedenza come Ras Tafarì, che vuol dire letteralmente: ‘sovrano che incute timore’.

I seguaci rastafari giamaicani vedevano nell’Imperatore d’Etiopia una figura messianica che avrebbe sconfitto gli invasori bianchi e occidentali per condurre i neri vittima della tratta degli schiavi verso la salvezza e il paradiso terrestre.

Infatti i rastafariani sperano un giorno di abbandonare Babylon, così chiamano la società ingiusta in cui vivono, e aspirano a Zion, la loro terra promessa, mitico luogo in cui tutti gli africani si riuniranno.

Il culto rastafari si basa sostanzialmente sulla Bibbia ma in chiave anti-europea e anticolonialista e considera Sellāsyē come incarnazione della divinità.

Durante i riti rasta si fa largo uso della marijuana, detta ‘ganja’, sia nei balli che nei canti estatici, eseguiti quasi in trance, ma anche durante la funzione vera e propria e nella lettura delle Sacre Scritture.

Il loro ideale è una vita al contatto con la natura, solo così, sostengono, è possibile trovare sé stessi ed entrare in contatto con Dio (chiamato Ja).

I dreadlock, detti anche rasta, sono la capigliatura tipica e distintiva dei seguaci del culto.

Questa fede, come abbiamo visto, non era proiettata solo nell’aldilà e nella vita ultraterrena ma era interessata anche alla situazione sociale e politica, e si costituì come vero e proprio movimento politico per l’emancipazione delle minoranze nere discendenti degli schiavi.

I rastafari non si rivolgevano però solo ai neri sradicati dalla loro terra, ma in genere a tutte le minoranze vessate dal colonialismo occidentale.

Dagli anni ‘80, come abbiamo visto, il credo rastafari varcò i confini giamaicani e divenne famoso anche in Europa e negli Stati Uniti, grazie al suo esponente più celebre: Bob Marley.

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I rastafari oggi

Attualmente si stima che in tutto il mondo ci siano tra i 700 mila e il milione di rastafariani.

Ma quando nel 1975, Ḫāyla Sellāsyē, il messia del rastafarianesimo, morì, probabilmente assassinato, molti suoi seguaci furono sconvolti e sorpresi proprio perché lo consideravano immortale come una divinità.

Secondo l’antropologo Charles A. Price, ripreso dalla rivista The Conversation, si verificò una vera e propria crisi esistenziale tra i fedeli evidentemente spiazzati da tale avvenimento.

Ciò portò a una diminuzione del numero di adepti, flessione che permane anche oggi.

Tuttavia, il corpo dell’Imperatore non fu mai ritrovato e questo, almeno per alcuni, ha alimentato la sua leggenda.

Come riporta Price, anch’egli fedele rastafariano, alcuni adepti sono convinti che i rastafariani siano eredi di una perduta tribù di Israele.

Nonostante ciò lo stesso Sellāsyē si definiva un cristiano devoto e nel 1967 rispose così a chi lo riteneva un Dio:

“Ho sentito parlare di questa idea. Ho anche incontrato alcuni rastafariani.

Ho spiegato loro chiaramente che io sono un uomo, che sono mortale e che non dovrebbero mai incorrere nell’errore di supporre o pretendere che un essere umano sia l’emanazione di una divinità”.

Insomma, un uomo che non vuol essere una divinità incontra una comunità di credenti che vuole fortemente un messia e attribuisce a un uomo facoltà divine. Non vorremmo essere blasfemi, ma ci ricorda tanto Brian di Nazareth dei Monty Python!

Più seriamente, si tratta solo di una moltitudine in attesa di un capo spirituale, di un guru, che li guidi verso un mondo migliore. D’altronde si sa, quando si parla di personaggi carismatici e culto della personalità, il confine tra politica e religione è molto labile.

L’uso della marijuana tra i rastafariani

I rastafariani utilizzano quindi marijuana nei loro rituali.

Considerano infatti questa pianta un’erba meditativa che infonde saggezza.

Ritengono infatti che la ganja crescesse sulla tomba di Re Salomone, detto appunto il Re Saggio.

Inoltre sostengono che nell’Eden l’erba crescesse sull’albero della conoscenza e a questo proposito gli adepti sono soliti citare questa loro massima teologica:

“Non puoi cambiare la natura umana, ma puoi cambiare te stesso mediante l’uso dell’Erba, in tal modo tu permetti che la tua luce risplenda, e quando ognuno di noi lascia risplendere la sua luce, ciò significa che stiamo creando una cultura divina”.

Dobbiamo specificare però che storicamente il culto rastafariano propaganda uno stile di vita sobrio e morigerato e un consumo prudente e non puramente ricreativo della cannabis.

In seguito, intorno alla metà degli anni ‘90, la marijuana (o ganja) perse un po’ del suo valore evocativo e della sua funzione mistica, anche tra gli stessi giamaicani, divenendo una sostanza meramente ricreativa.

Alcuni critici hanno visto attualmente nella cannabis uno stupefacente in grado solo di sedare le masse, placare la loro sete di rivalsa sociale, impeto di rivolta e cambiamento dello status quo.

La marijuana in questo caso avrebbe non favorito la connessione con le proprie radici e la connessione con la divinità, ma bensì rappresentato una fuga, un’evasione dai problemi quotidiani, un rifugio edonista che deresponsabilizza e non incoraggia al miglioramento della propria condizione sociale.

La marijuana nel taoismo

La filosofia taoista simboleggiata dallo yin e dallo yang, risale al IV secolo a.C. ed è originaria della Cina.

Nei primi testi taoisti si danno istruzioni su come utilizzare la cannabis per l’incenso durante le cerimonie rituali.

Monaci taoisti respiravano questi aromi e vapori per superare l’egoismo e raggiungere uno stato di estasi lontana dalle passioni terrene, una sorta di illuminazione che li emancipasse dai vizi e dalla corruzione della carne.

Con l’incenso di cannabis evocavano inoltre spiriti benigni o maligni, predicevano il futuro e curavano ferite e patologie tra le più varie.

Statua di una divinità induista con 6 braccia | Justbob

La marijuana nell’induismo

L’uso di marijuana in India è attestato intorno al VII secolo d.C.

Il suo utilizzo rituale, documentato nell’Atharva Veda, risale a circa 3000 anni fa .

Secondo gli induisti vedici la cannabis detta Bhang era dotata di poteri magici e veniva impiegata dagli sciamani in riti di purificazione o a scopi curativi.

I Veda attribuiscono a Shiva la creazione della canapa, detta ‘angaja’ (che significa ‘nata dal corpo di Dio’).

Secondo la leggenda Shiva si riparò all’ombra di una pianta di canapa, si cibò delle sue foglie apprezzandone il sapore e così divenne il suo cibo prediletto.

Parvati, la moglie di Shiva, era solita dire “Bangi, bangi”, proprio per propiziare una fioritura rapida e rigogliosa della pianta.

Nei rituali induisti la canapa si assume in tre modi:

  • bhang, una bevanda lattiginosa ottenuta da foglie e cime della canapa;
  • charas, è un tipo di hashish fatto dalla resina di canapa;
  • ganja, le cime da fumare.

Assumere la cannabis in queste forme è ancora oggi un atto sacro in India tipico di molte cerimonie religiose.

Anche se in Nepal è illegale si consuma durante le feste di Shivaratri e Holi con il tacito permesso del governo.

Nella cultura induista, Vice-Vadat, il demone dell’ebbrezza e del vizio, è rappresentato proprio dalla pianta di canapa.

La marijuana nel buddhismo

Stando ai testi buddisti, Buddha, nel V secolo a.C., durante il suo percorso di illuminazione che lo portò al nirvana, si cibò quotidianamente di semi di canapa, senza mangiare altro.

Non è un caso che nell’iconografia buddista spesso Buddha sia rappresentato mentre tiene in mano foglie di canapa.

Inoltre molti monaci utilizzavano la marijuana per facilitare la meditazione e l’ascesi.

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La marijuana nel sufismo

Haydar, fondatore del sufismo, narra la leggenda, un giorno tornò euforico e contento dai suoi adepti dopo una passeggiata meditativa.

Quando i suoi seguaci gli chiesero come mai fosse di umore così gioviale, Haydar confessò loro di aver mangiato foglie di canapa ma di non farne parola con nessun altro al di fuori della comunità.

Infatti pensava che tale stato d’animo fosse per pochi eletti e che non tutti potessero fare uso della pianta.

Il leader del sufismo consumò regolarmente canapa fino alla sua morte nel 1221. Per suo volere intorno alla sua tomba furono poste alcune piante di canapa.

I sufi sono una setta islamica non ortodossa, molto diversa rispetto a sciiti e sunniti.

I seguaci di tale credo pensano di connettersi con Allah tramite percorsi estatici e di meditazione profonda anche con l’ausilio di sostanze psicotrope come la cannabis.

Probabilmente avrete sentito parlare dei dervisci rotanti (anche grazie a Franco Battiato), seguaci di confraternite musulmane, famosi per i loro balli convulsi.

Simili a monaci mendicanti, sono originari di Iran e Turchia, e per raggiungere tali stati di trance, estasi ed ebbrezza panica, in passato facevano uso di hashish.

Conclusioni

Eccoci arrivati alla fine di questo viaggio alla scoperta degli usi della marijuana in ambito religioso.

Abbiamo attraversato i secoli e percorso distanze siderali, capiamo che possiate essere disorientati, gli effetti del jet-lag si fanno sentire!

La marijuana nei millenni è stata utilizzata per connettersi con Dio ed evadere dalla vita terrena, per facilitare l’immersione nella meditazione e abbandonarsi a stati di estasi e illuminazione.

Nei culti più diversi, in culture agli antipodi, alle latitudini più diverse, l’uomo ha sempre cercato un contatto con il divino, una necessità di scrutare nel suo animo e comprendere il mistero del creato, immutabile nel tempo.

Nonostante siano passati i millenni l’uomo è sempre lo stesso, questo dovrebbe essere rassicurante in qualche modo!

Per questo ha utilizzato varie sostanze che alterassero la sua comune percezione sensoriale, proprio per squarciare il velo di Maya e vedere finalmente cosa ci fosse attraverso, sbirciando nel trascendente.

Così abbiamo incontrato i rastafariani e i sufi ma anche gli induisti e i buddisti.

Questo articolo è da intendersi a puro scopo divulgativo, scritto per soddisfare le curiosità su usi e costumi di popoli lontani, ma più vicini di quanto si possa immaginare.

Ovviamente non vogliamo propagandare l’uso di nessuna sostanza illecita e vi invitiamo sempre a rispettare le norme vigenti.

Capiamo quanto possa essere forte il bisogno di trascendenza ma vi invitiamo alla prudenza!

Ci vediamo presto allora, alla scoperta di altre storie simili, e speriamo di rivedervi prossimamente qui sul blog di Justbob.

Takeaways

    • Fin dall’antichità, l’uomo ha impiegato la cannabis in cerimonie religiose per favorire la meditazione, l’evasione dalla realtà terrena e la connessione con il divino. Questo uso è stato documentato in varie culture e tradizioni spirituali in tutto il mondo.
    • In molte tradizioni, la cannabis non è stata utilizzata solo per scopi ricreativi, ma anche per scopi rituali e terapeutici. È stata vista come un mezzo per facilitare l’illuminazione spirituale, la guarigione e la purificazione.
    • Dall’induismo al buddhismo, dal rastafarianesimo al sufismo, la cannabis ha avuto un ruolo significativo in vari contesti religiosi. Ogni tradizione ha interpretato e utilizzato la pianta in modi unici, spesso in relazione alla loro cosmologia e pratiche spirituali specifiche.
    • Nel corso dei secoli, l’interpretazione e l’uso della marijuana nei culti religiosi possono aver subito cambiamenti. Ad esempio, mentre in passato la cannabis era vista principalmente come uno strumento per la spiritualità e l’illuminazione, oggi può essere percepita anche come una sostanza ricreativa o persino problematica in alcuni contesti.
    • Nonostante l’importanza storica e culturale dell’uso della marijuana in ambito religioso, è essenziale rispettare le leggi e le normative attuali riguardanti il suo utilizzo. La consapevolezza delle leggi locali e il rispetto delle norme sono fondamentali per evitare problemi legali e per mantenere un approccio responsabile all’uso della sostanza.

Domande & Risposte


In quali culti viene utilizzata la marijuana?

Oggi la marijuana viene utilizzata principalmente a scopo ricreativo o terapeutico, ma storicamente è stata utilizzata in molti riti ancestrali per favorire la meditazione e la connessione con la divinità.

Qual è il significato del rastafarianesimo?

Il rastafarianesimo è un movimento politico-religioso nato in Giamaica negli anni ’30, che considera l’Imperatore d’Etiopia come una figura messianica che avrebbe guidato i neri verso la salvezza e il paradiso terrestre.

Qual è il ruolo della marijuana nel rastafarianesimo?

Nel rastafarianesimo, la marijuana è considerata un’erba meditativa che infonde saggezza. Viene utilizzata nei rituali, inclusi balli, canti estatici e lettura delle Sacre Scritture, per favorire uno stato di trance e connessione spirituale.