La cannabis crea dipendenza mentre il CBD no! (secondo alcuni può anche combatterla)

La cannabis crea dipendenza mentre il CBD no!

Modificato il: 06/08/2025

Già noto per le sue proprietà antinfiammatorie e lenitive, il CBD potrebbe presto diventare anche un valido alleato nel trattamento della dipendenza da nicotina e oppiacei

Gli effetti sulla salute dei derivati della cannabis sono da anni al centro di numerosi studi medico-scientifici.

Visti i risultanti promettenti ottenuti nel trattamento del dolore cronico, alcuni studi più recenti si sono focalizzati sul cannabidiolo (CBD) e sulle sue potenzialità nel contrastare la dipendenza da nicotina e oppiacei.

Di questo ci occuperemo in questa sede. Cercheremo di capire anzitutto se il CBD può creare assuefazione per poi esaminare in quali circostanze possa aiutare a combattere le dipendenze.

Il CBD comporta rischi per la salute?

Il cannabidiolo è un derivato della cannabis presente in molti prodotti che possono essere acquistati legalmente in Italia.

La legge 242 del 2016, che ha dato vita alle filiere di canapa legale, infatti, consente la coltivazione e la lavorazione di piante che presentino una concentrazione di THC inferiore allo 0,2%.

Da notare che la legge non prevede limitazioni sul CBD, perché il cannabidiolo è un composto non psicoattivo della cannabis e, dunque, non ha effetti psicotropi e droganti (come invece ha il THC).

In un rapporto dell’OMS del 2018, che contiene lo stato dell’arte della ricerca scientifica sull’argomento, si afferma esplicitamente che il CBD può essere assunto senza particolari rischi per la salute.

Secondo il rapporto, peraltro, il CBD non indurrebbe quella dipendenza fisica solitamente indotta dalle sostanze di abuso.

Per l’OMS la dipendenza da sostanze è quello stato psichico e fisico che determina la necessità di un continuo uso della sostanza per evitare la sindrome da astinenza.

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Cbd e rischi per la salute

CBD e dipendenza: che cosa dicono gli Studi?

Del resto, che il cannabidiolo possa aiutare a superare la dipendenza da oppiacei non emerge solo dal parere degli esperti dell’OMS, ma sembrerebbe confermato anche da diversi studi.

Un team di ricercatori franco-svizzero dell’università di Parigi-Saclay e dell’Università di Losanna è arrivato alla stessa conclusione dopo aver condotto una revisione sistematica degli studi sul tema, volta a valutare l’impatto del CBD sui disturbi da uso di sostanze.

La revisione, intitolata “Cannabidiol in the context of substance use disorder treatment: A systematic review” e pubblicata su Addictive Behaviors nel 2022, prende in considerazione ricerche condotte sia sull’uomo che sugli animali.

In entrambi i casi, il CBD si sarebbe dimostrato utile come coadiuvante nel trattamento dei disturbi da uso di sostanze.

Il principio attivo sembrerebbe intervenire sui segnali inviati dalle cellule nervose interagendo con i neurotrasmettitori. In questo modo, il cannabidiolo aiuterebbe i pazienti ad affrontare con più facilità i sintomi da astinenza, come l’ansia e la frequenza cardiaca alta.

Le indagini condotte sugli animali, in particolare, ne hanno mostrato l’efficacia nei confronti dell’uso di alcol, oppiacei e metanfetamine, mentre le ricerche sull’uomo hanno riscontrato effetti positivi del CBD nei casi di disturbi da uso di di nicotina, cannabis e oppiacei.

Infine, non bisogna dimenticare che, poiché sono anni che la cannabis viene utilizzata per il trattamento del dolore cronico, abbiamo accumulato dati e informazioni utili a capirne l’impatto sulle dipendenze.

Così, ad esempio, il dottor Elliot J. Krane della Stanford Children’s Health, suggerisce che la cannabis terapeutica può arrecare benefici nei pazienti che non hanno risposto alla terapia del dolore convenzionale.

Tali benefici deriverebbero da un ridotto uso di oppiacei, che vengono progressivamente sostituiti da preparati a base di CBD.

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Dipendenza da cannabis: effetti, cause e conseguenze secondo gli esperti

Dal punto di vista medico e sociale, la dipendenza da cannabis è oggi riconosciuta come un problema in aumento in diverse aree del mondo, in particolare tra giovani e adolescenti. Secondo dati recenti provenienti dagli Stati Uniti e da alcune agenzie delle Nazioni Unite, l’uso di cannabis – soprattutto sotto forma di hashish o in prodotti ad alta concentrazione di delta 9 tetraidrocannabinolo (il principale principio attivo con effetto psicoattivo) – sta mostrando un incremento costante tra i consumatori di tutte le età, sia adulti che più giovani.

Il consumo frequente e prolungato di cannabis può causare una compromissione di diverse funzioni cognitive, in particolare quelle legate alla memoria, al controllo degli impulsi e al sistema nervoso centrale. Questa attività alterata del cervello è spesso alla base di sintomi come disinibizione, euforia, cambiamenti dell’umore e, in alcuni casi, veri e propri sintomi di astinenza nel momento in cui si interrompe l’uso della sostanza.

Il bisogno crescente di assumere cannabis, anche in assenza di uno scopo medico, è uno dei segnali della possibile insorgenza di una dipendenza. La diagnosi di tale condizione viene spesso formulata quando si riscontrano problemi relazionali, scolastici o lavorativi legati all’utilizzo della sostanza, o in caso di un aumento significativo della frequenza del consumo. Il numero di casi trattati per uso problematico di cannabis è in crescita, anche in paesi con approcci più tolleranti come i Paesi Bassi.

I principi psicoattivi della pianta della cannabis, in particolare i cannabinoidi, influenzano l’organismo in modi complessi, e in presenza di certe condizioni psicologiche o sociali preesistenti possono aggravare la situazione. In alcuni casi, il consumo è inizialmente motivato da uno scopo terapeutico – ad esempio per la gestione del dolore o di patologie croniche – ma può comunque evolvere in un uso non controllato, con tutte le conseguenze che ne derivano.

L’approccio medico alla dipendenza da cannabis include spesso un supporto psicologico e, nei casi più gravi, anche l’utilizzo di farmaci o medicinali mirati. La forma in cui la cannabis viene assunta – che si tratti di infiorescenze, oli, hashish o edibili – può incidere sulla velocità e intensità dell’effetto, modificando anche il rischio di sviluppare una dipendenza.

Non bisogna sottovalutare, infine, la disinformazione diffusa sull’uso di cannabis: molti giovani tendono a considerarla una sostanza “naturale” e priva di rischi, ma gli studi dimostrano che, nel lungo termine, può determinare cambiamenti neurologici e psicologici significativi. Per questo motivo è fondamentale promuovere informazione, prevenzione e accesso a cure adeguate per chi manifesta una dipendenza da cannabis, a prescindere dall’età o dall’entità del problema.

Cbd per trattare la nicotina

In conclusione, il CBD non causa dipendenza, ma la cannabis crea dipendenza per via del THC

Riepilogando, i primi risultati scientifici sull’impatto del CBD sul trattamento dei disturbi da uso di sostanze sono promettenti, ma gli studi sono ancora in corso ed è presto per avere certezze.

Secondo le evidenze sinora raccolte, i preparati a base di cannabidiolo non inducono dipendenza, a differenza della classica marijuana che, contenendo THC, è a tutti gli effetti una sostanza psicoattiva.

Proprio per questo, il CBD si presta a essere utilizzato nel trattamento della dipendenza da nicotina e oppiacei. Come dimostrerebbero alcune ricerche, poi, il suo impatto sembrerebbe positivo anche nel trattamento della terapia del dolore.

Non bisogna però sottovalutare che quando diciamo che il CBD non induce dipendenza, ci riferiamo alla dipendenza fisica indotta dalle sostanze di abuso.

Il discorso è diverso se prendiamo in considerazione la dipendenza psicologica generata dal CBD, nei confronti della quale non abbiamo ancora evidenze scientifiche.

Va considerato, peraltro, che anche nella cannabis terapeutica il THC può essere presente in concentrazione più o meno elevate e, dunque, il rischio di creare dipendenza resta.

In conclusione

Sicuramente, la dipendenza che si genera con la cannabis è minore rispetto a quella derivante dall’uso di sostanze stupefacenti, come potrebbe essere per l’eroina.

Ma comunque rimane il fatto che la marijuana crea dipendenza e, se ne si sospende l’assunzione, può portare a crisi d’astinenza, i cui sintomi sono irritabilità, nausea, disturbi del sonno’ ecc.

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