Modificato il: 22/07/2025
Tutto ciò che devi sapere se stai pensando di aprire un Cannabis Social Club in Italia.
Per caso ti stai domandando come aprire un Cannabis Social Club in Italia, magari dedicato sia alla cannabis ad alto contenuto di THC che alla cannabis light? Forse dovresti chiederti, prima di tutto, se farlo sia legale o meno.
Certo, forse hai pensato di aprirlo in seguito alla recente sentenza della Corte di Cassazione, con la quale si depenalizza la coltivazione di un numero (estremamente) ridotto di piante di cannabis. Destinate al solo utilizzo personale.
Il tuo sarebbe il primo Cannabis Social Club nel nostro Paese, ma sappi che l’attuale contesto non è molto aperto a queste novità. Soprattutto perché il consumo di cannabis a uso personale, anche marijuana light, rimane comunque un reato.
La sentenza del 19 dicembre 2019 della Corte di Cassazione dice che la coltivazione di un piccolissimo numero di piante di cannabis, non destinate allo spaccio – bensì al solo uso personale -, non sia punibile penalmente. Ma questo non autorizza chiunque a coltivare marijuana: il reato amministrativo rimane, dunque se si viene colti sul fatto dalle Autorità non si rischia la prigione ma una multa, che potrebbe essere anche elevata.
Dunque nel caso del Cannabis Social Club, in cui non si coltiverebbero solo due piantine, la situazione sarebbe ben peggiore.
Ma andiamo per ordine. Che cos’è un CSC?
Cannabis Social Club: cosa sono?
Prima di tutto ecco cosa non sono: i Cannabis Social Club non sono paragonabili ai Coffee Shop di Amsterdam, in quanto in questi ultimi si acquista e si consuma marijuana, ma non la si può coltivare.
Come forse saprai, all’interno dei Coffee Shop non è possibile vendere più di 5 grammi di cannabis allo stesso cliente. I proprietari hanno delle restrizioni anche per quanto riguarda il magazzino, che non può contenere più di 500 grammi di fiori di marijuana.
I Cannabis Social Club sono invece delle associazioni no profit concettualizzate intorno al 2005 dall’organizzazione ENCOD (Coalizione europea per politiche giuste ed efficaci sulle droghe). Queste associazioni senza scopo di lucro nascono con l’intento di produrre cannabis collettivamente e consumarla escludendo ogni rapporto con il mercato nero.
La marijuana prodotta all’interno dei locali di un CSC non è a fini di spaccio o, più in generale, di vendita, bensì destinata al consumo esclusivo dei membri del club. La coltivazione e il consumo (che può essere sia a uso medico che ricreativo) sono di solito soggetti a controlli di qualità e sicurezza, e tutte le operazioni sono finanziate dai soci stessi.
Di solito i membri possiedono una card che ne identifica l’appartenenza al club e, mediante un abbonamento mensile o annuale, finanziano l’associazione. La vendita della cannabis prodotta non è consentita, com’è proibito l’ingresso nel club da parte di minori.
Il guadagno di un Social Club è dunque nullo: tutte le finanze vengono riutilizzate per pagare gli eventuali dipendenti, svolgere lavori di manutenzione, acquistare i semi di cannabis e l’attrezzatura necessaria per coltivare le piante, etc.
Molti club organizzano intrattenimento, piccoli concerti e incontri informativi dedicati ai soci e spesso presentano dei piccoli bar che offrono bevande e snack. Soprattutto i maggiori CSC sono organizzati in modo da offrire diverse comodità e un soggiorno piacevole ai propri membri.
Anche per questo motivo l’ingresso è di solito regolamentato in maniera discretamente rigida: oltre la classica richiesta di documenti d’identità, residenza etc., alcuni club richiedono l’invito da parte dei soci. Dunque per far parte dei club più grossi si devono spesso avere delle conoscenze interne.
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Ma perché non è possibile aprire un CSC in Italia?
Come ti abbiamo anticipato, coltivare cannabis o cannabis light in Italia rimane un reato amministrativo per quanto riguarda un piccolissimo numero di piantine (a uso personale). Infatti la sentenza della Cassazione del 19 dicembre era relativa alla depenalizzazione della coltura di due piante di modeste dimensioni.
L’illecito amministrativo rimane, quindi si rischia il pagamento di una sanzione anche importante.
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Ma all’interno di un Cannabis Social Club si coltivano ben più di due piantine; dimostrare che non lo si fa a fini di spaccio è pressoché impossibile. Il presidente dell’associazione e anche gli altri soci rischierebbero, in base alla gravità della situazione, diversi anni di carcere per spaccio di sostanze stupefacenti.
Quindi no: in Italia, al 2020, non si può aprire un CSC e non vale la pena rischiare così tanto per un’associazione a cui le Autorità farebbero chiudere i battenti in men che non si dica.
Il modello del Cannabis Social Club in Europa e nel mondo: tra legalizzazione, salute e organizzazione no profit
Il modello dei Cannabis Social Club rappresenta un’alternativa interessante al tradizionale mercato legato alla sostanza, in particolare per il suo funzionamento fondato su organizzazioni no profit, spesso strutturate come associazioni o, in alcuni casi, vere e proprie società con fini mutualistici. Questo sistema, che ha preso piede in modo più visibile in diversi Paesi europei, come la Spagna, il Belgio, la Svizzera e, più recentemente, anche nel Regno Unito, ha attirato l’attenzione non solo di attivisti e coltivatori, ma anche di esperti del settore, giornalisti, politici e consumatori.
Nel punto di vista di molti sostenitori della legalizzazione, questi club rappresentano un passo fondamentale verso un approccio più consapevole alla cannabis, che tenga conto sia della salute pubblica sia delle esigenze degli adulti che scelgono liberamente di farne uso. Il loro obiettivo principale è infatti quello di creare un ambiente sicuro e controllato per la produzione, la distribuzione e il consumo di cannabis, fuori dalle logiche del mercato nero e nel rispetto di precise regole interne.
Dal punto di vista giuridico e sociale, ciò che differenzia maggiormente un Cannabis Club da altri modelli è la sua natura di associazione privata, chiusa, senza scopo di lucro, in cui ogni membro partecipa attivamente alla gestione e al sostentamento dell’organizzazione. Le quantità coltivate e distribuite vengono calcolate sulla base dei consumi dichiarati dai soci, e la qualità della cannabis prodotta è spesso elevata grazie a tecniche di coltivazione curate nei dettagli. In particolare, molti club pongono grande attenzione alla crescita biologica delle piante, evitando l’uso di sostanze chimiche, con un occhio di riguardo alla salute degli associati.
A livello europeo, la maggior parte delle organizzazioni che operano secondo il modello del CSC si sono aggregate in reti collaborative per promuovere buone pratiche, confrontarsi su problematiche legali e presentare una voce comune nel dibattito sulla legalizzazione. In alcuni casi, hanno anche dato vita a vere e proprie aziende di consulenza per aiutare nuovi club a costituirsi nel rispetto delle normative locali.
Anche negli Stati Uniti, dove in diversi stati la cannabis è stata legalizzata per uso ricreativo e/o medico, si sono sviluppati modelli simili, anche se spesso con un’impostazione più commerciale rispetto al modello europeo. In ogni caso, ciò dimostra che la riflessione globale sulla gestione della cannabis sta cambiando, coinvolgendo sempre più professionisti, coltivatori, medici, legislatori e cittadini.
In conclusione, sebbene in Italia l’apertura di un Cannabis Social Club sia ancora proibita, l’idea continua a circolare come alternativa credibile e sostenibile per una futura regolamentazione. Con una gestione trasparente, rispettosa della legge e attenta alla qualità della sostanza e al benessere dei membri, questo modello potrebbe rappresentare un passo decisivo per l’integrazione della cannabis in un contesto sociale e normativo più maturo e responsabile.
Dove può nascere un Cannabis Social Club?
I Cannabis Social Club nascono solitamente dove il consumo di cannabis a scopo ricreativo non è un reato. In alternativa vengono fondati laddove vi sia un vuoto normativo che consente al presidente dell’associazione e agli altri membri di farsi strada in maniera quasi indisturbata.
Esistono CSC in quasi tutto il mondo. I Paesi a noi noti sono i seguenti:
- Spagna (attenzione però: in questo caso i CSC nascono per via di un vuoto normativo, ma alcuni stanno passando grossi guai con le Autorità in quanto non sarebbero del tutto legali. Sappiamo comunque che esistono circa 200 Cannabis Social Club concentrati solo nella zona di Barcellona).
- Germania
- Belgio
- Francia
- Paesi Bassi
- Austria
- Svizzera (Zurigo, Basilea, Berna e Ginevra hanno accettato, nel 2016, di costituire dei CSC pilota)
- Nuova Zelanda
- Stati Uniti, precisamente nei seguenti Paesi:
- Alaska
- Colorado,
- Vermont,
- Nevada,
- Oregon,
- California,
- Washington State,
- Michigan,
- Maine,
- Massachusetts.
Non escludiamo, però, che ce ne siano altri a noi sconosciuti o che da un momento all’altro in uno Stato o in una città venga consentita l’apertura di un Cannabis Social Club.
Se il tuo sogno è quello di aprirlo in Italia, non ti resta che sperare un aggiornamento delle normative attuali. Per il momento, però, un CSC rimane un lontano miraggio per quanto riguarda il nostro Paese.
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