Flavoalcaloidi nella cannabis: ecco cosa hanno scoperto i ricercatori

Flavoalcaloidi nella cannabis: ecco cosa hanno scoperto i ricercatori | Just Bob

Pubblicato il: 01/10/2025

La loro struttura unica, che combina le caratteristiche antiossidanti dei flavonoidi e l’attività farmacologica degli alcaloidi, rappresenta una frontiera promettente per la farmaceutica naturale

Negli ultimi anni la cannabis ha suscitato molto interesse in ambito biomedico per la ricchezza e la varietà delle sue molecole. Se cannabinoidi e terpeni sono da tempo oggetto di studi approfonditi, solo recentemente il progresso delle tecniche analitiche ha consentito l’individuazione di composti rari e prima inosservati. Tra questi spiccano per originalità i flavoalcaloidi, una nuova classe di sostanze ibride le cui caratteristiche suscitano entusiasmo nella comunità scientifica.

I flavoalcaloidi sono stati identificati nelle foglie di cannabis da un gruppo di ricercatori dell’Università di Stellenbosch attraverso una sofisticata combinazione di cromatografia liquida bidimensionale e spettrometria di massa ad alta risoluzione. Questo approccio ha portato all’isolamento di ben 79 composti fenolici, dei quali 25 risultano completamente nuovi per la specie Cannabis Sativa L. e, di questi, ben 16 sono flavoalcaloidi.

La scoperta, pubblicata nel 2025 sul Journal of Chromatography A, amplia il già ricco fitocomplesso della pianta e apre percorsi di ricerca inattesi, sia per le applicazioni farmaceutiche sia per la valorizzazione della canapa light.

La rilevanza di questa scoperta deriva dalla struttura peculiare dei flavoalcaloidi, composti che sintetizzano le proprietà dei flavonoidi e degli alcaloidi in un’unica molecola. I flavonoidi sono rinomati per i loro effetti antiossidanti, antinfiammatori e protettivi nei confronti delle cellule, mentre gli alcaloidi nelle piante sono noti per l’attività farmacologica, spesso potente, e talvolta tossica. Unendo queste caratteristiche, i flavoalcaloidi vengono considerati, almeno potenzialmente, come una delle nuove frontiere della farmaceutica naturale. La concentrazione di queste molecole nelle foglie della cannabis è estremamente bassa, ma la loro presenza dimostra ancora una volta come il patrimonio genetico e biochimico della pianta sia ben lontano dall’essere completamente svelato.

La cannabis light e i preparati a base di CBD stanno ridefinendo il mercato mondiale, non soltanto per il notevole interesse delle persone in cerca di alternative legali prive di effetti psicoattivi (nei Paesi in cui la vendita è consentita), ma anche per l’opportunità che offre ai ricercatori di esplorare le potenzialità di molecole prima trascurate.

Scopriamo di più su questi composti e sulle potenzialità in ambito scientifico.

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Flavoalcaloidi: cosa sono e come sono stati scoperti

La scoperta dei flavoalcaloidi nella cannabis ha segnato un nuovo capitolo nell’esplorazione del fitocomplesso della pianta. Per molti decenni la ricerca è stata focalizzata quasi esclusivamente sui cannabinoidi e sulle loro applicazioni in ambito medico e ricreativo, trascurando la possibilità che la pianta celasse altri composti di interesse. Solo l’arrivo di strumentazione più sensibile e specifica, come la cromatografia liquida bidimensionale unita alla spettrometria di massa ad alta risoluzione, ha permesso di superare le barriere metodologiche che rendevano impossibile il rilevamento di molecole estremamente rare e con strutture complesse.

I flavoalcaloidi sono definiti come molecole in cui una porzione flavonoidica si fonde, tramite un legame chimico, con una porzione alcaloidica. Questa caratteristica ibrida consente di racchiudere in un’unica entità sia le “armi” difensive e antiossidanti del mondo flavonoide, sia il potenziale farmacologico degli alcaloidi, noti soprattutto per le loro applicazioni in medicina (morfina, chinina, caffeina sono solo alcuni esempi celebri). Nella cannabis, fino a pochi anni fa, la comunità scientifica riteneva che la presenza di alcaloidi veri e propri fosse estremamente limitata o addirittura trascurabile. Gli unici dati storici risalenti agli anni Settanta individuavano composti azotati in tracce, con descrizioni poco riproducibili nei decenni successivi.

La svolta è avvenuta grazie al perfezionamento delle tecniche di analisi, che ha consentito di distinguere i flavoalcaloidi dai numerosi flavonoidi già ampiamente noti nella cannabis (come la canflavina A e B, la quercetina, la vitexina e la luteolina) e di documentarne per la prima volta la presenza, almeno in alcune varietà di canapa coltivate a scopo tecnico.

È interessante notare che i flavoalcaloidi sono risultati assenti in molte cultivar analizzate, suggerendo una fortissima variabilità genetica che potrebbe essere sfruttata, in futuro, per selezionare piante con un fitocomplesso mirato non solo alla produzione di CBD ma anche di queste molecole ibride.

Il ruolo biologico dei flavoalcaloidi e la loro rilevanza per la canapa light

Le molecole denominate flavoalcaloidi ricoprono un ruolo peculiare nell’ecosistema vegetale. I flavonoidi tradizionali, ai quali la scienza attribuisce proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, sono fondamentali nella difesa della pianta contro lo stress ambientale, le radiazioni ultraviolette e l’attacco di parassiti e patogeni. L’aggiunta della componente alcaloidica, presente anch’essa in forme rarissime nella cannabis, potrebbe amplificare la gamma di effetti benefici, ipotizzando nuove attività come la neuroprotezione o una sinergia potenziata nei confronti dello stress ossidativo. Tuttavia, si tratta ancora di ipotesi che dovranno essere validate da studi preclinici e clinici rigorosi.

La valorizzazione dei flavoalcaloidi offre molteplici vantaggi. Da una parte, si riabilita l’uso delle foglie, tradizionalmente considerate un sottoprodotto di scarso valore rispetto alle infiorescenze destinate all’estrazione di CBD e di altri fitocomposti venduti come oli di CBD, hashish legale o canapa “tecnica”. Trasformando il residuo fogliare in materia prima ad alto contenuto di composti rari, si promuove sia la sostenibilità della filiera sia l’efficienza economica delle coltivazioni.

Dall’altra, l’individuazione di nuovi fitocomplessi con potenziale azione antiossidante contribuisce ad arricchire il panorama degli estratti tecnici disponibili sul mercato europeo, fornendo materia di studio all’industria nutraceutica, cosmetica e a chi opera nella ricerca scientifica, sempre nel rispetto delle normative che proibiscono qualsiasi forma di destinazione al consumo umano diretto dei derivati della canapa light in Italia.

Flavoalcaloidi cannabis: immagine evocativa | Just Bob

Dalla definizione biochimica alle prospettive applicative: la scienza oltre il THC e il CBD

La ricerca sui flavoalcaloidi dimostra la necessità di andare oltre le distinzioni tradizionali tra cannabinoidi maggiori (THC e CBD) e minori (CBG, CBC, CBN, THCV). Questi ultimi, insieme ai terpeni e ai flavonoidi, compongono un mosaico di principi attivi in costante evoluzione che caratterizza il fitocomplesso della cannabis legale.

I flavoalcaloidi non alterano le proprietà psicotrope della pianta, essendo privi di interazioni significative con i recettori CB1 e CB2 del sistema endocannabinoide umano, la cui attivazione da parte del THC è responsabile degli effetti psicoattivi e dei relativi aspetti normativi.

Questa peculiarità consente di esplorare gli effetti dei flavoalcaloidi in settori come la ricerca cosmetica e nutraceutica, nella quale il CBD e i flavonoidi sono già studiati per la capacità di proteggere la pelle dai danni da ossidazione e infiammazione cronica. Il settore degli estratti technical grade, ossia destinati a collezionismo o ricerca, può oggi vantare la presenza di componenti sempre più raffinate e innovative. La valorizzazione di questi nuovi principi attivi si inserisce pienamente nelle strategie di economia circolare delle aziende più attente alla sostenibilità, che vedono nella cannabis una risorsa da sfruttare integralmente.

La letteratura sottolinea come l’azione dei flavoalcaloidi potrebbe integrare quella dei flavonoidi classici e di altri fitocomposti, affiancando proprietà neuroprotettive, immunomodulatrici e protettive dallo stress ossidativo a quelle già note.

Da scarto a risorsa: il futuro della ricerca scientifica tra innovazione e sostenibilità

La rivalutazione delle foglie di cannabis come fonte di principi attivi preziosi rappresenta una svolta sotto il profilo della sostenibilità e dell’innovazione. La possibilità di recuperare molecole come i flavoalcaloidi, grazie a processi d’estrazione sempre più selettivi, consente di ridurre sprechi e di adottare una filiera più vicina ai modelli di economia circolare promossi dalle autorità europee.

Gli studi più avanzati suggeriscono che la produzione di specifici estratti fogliari potrebbe fornire nuove opportunità non solo in campo tecnico e industriale, ma anche per la ricerca veterinaria e per l’agricoltura sostenibile. Alcuni esperimenti già pubblicati nel 2025 dimostrano come frazioni di estratti a base di flavoalcaloidi riducano l’incidenza di parassiti e rafforzino la resistenza delle colture a condizioni ambientali avverse. La ricaduta positiva non si limita alla protezione delle piante stesse, poiché l’introduzione di composti naturali riduce la necessità di fitofarmaci di sintesi e contribuisce all’affermazione di pratiche agricole a basso impatto ambientale.

Le ricadute innovative toccano anche la cosmetica green: laboratori europei stanno testando lignaggi di canapa selezionati per la ricchezza in flavonoidi e loro derivati, compresi i flavoalcaloidi, come base per ingredienti attivi destinati alla protezione della pelle e al contrasto all’invecchiamento ossidativo. In un settore attento alla biodiversità, la possibilità di differenziare i prodotti su base varietale e molecolare rappresenta un valore aggiunto sia scientifico che commerciale.

Immagine di esempio flavoalcaloidi cannabis | Just Bob

Flavoalcaloidi, flavonoidi e cannabinoidi: un fitocomplesso complesso e affascinante

La cannabis è una pianta dalla complessità chimica straordinaria: la presenza di molteplici classi di composti bioattivi con strutture e proprietà differenti, che insieme formano un fitocomplesso ricco e sfaccettato.

Tra queste classi, i cannabinoidi rappresentano i composti più iconici e studiati: includono numerosi principi attivi, alcuni noti come i già citati tetraidrocannabinolo (THC), responsabile degli effetti psicoattivi, e il cannabidiolo (CBD), apprezzato per le sue potenzialità antinfiammatorie e antiossidanti, privo di effetti psicotropi. Questi composti agiscono principalmente sui recettori del sistema endocannabinoide umano, modulando funzioni fisiologiche fondamentali quali il sistema immunitario, la percezione del dolore e l’umore. Tuttavia, la varietà dei cannabinoidi è vasta e in continua espansione: dal cannabigerolo (CBG) al cannabicromene (CBC), ogni molecola contribuisce in modo unico al profilo farmacologico e alla risposta biologica degli estratti, sia in ambito medico che in quello tecnico e collezionistico.

Accanto ai cannabinoidi, i flavonoidi costituiscono un’altra famiglia molecolare di grande rilevanza. Presenti in molte specie vegetali, nella cannabis i flavonoidi si distinguono per la loro migrazione chimica, con molecole caratteristiche come le canflavine, la quercetina e la luteolina, note per le proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e immunomodulanti. Questi composti non influenzano direttamente il sistema endocannabinoide come i cannabinoidi, ma contribuiscono in modo determinante alla protezione cellulare e alle difese naturali della pianta e dell’organismo umano, integrando e potenziando gli effetti degli altri principi attivi tramite l’effetto entourage.

I flavonoidi sono responsabili anche del colore e del sapore dei fiori e delle foglie, elementi estetici che influenzano la selezione delle varietà anche da parte degli appassionati più esperti.

Infine i flavoalcaloidi, che come abbiamo visto spiccano soprattutto per il potenziale biologico ancora tutto da esplorare. Mentre gli alcaloidi sono molto studiati in altre piante per la loro potente azione farmacologica, nella cannabis erano considerati quasi assenti o insignificanti. La nuova evidenza della presenza di flavoalcaloidi suggerisce un possibile ruolo di queste molecole nel rafforzamento degli effetti antiossidanti e antinfiammatori, offrendo un’ulteriore chiave per comprendere e valorizzare la complessità della canapa light.

La ricchezza del fitocomplesso della cannabis risiede proprio nella coesistenza e nell’interazione di queste diverse classi chimiche, dove ciascun gruppo di molecole svolge un ruolo specifico ma sinergico. I cannabinoidi conferiscono alla pianta le sue proprietà tipiche, sia in ambito medico sia ricreativo (nelle aree dove è legale), mentre i flavonoidi e i terpeni concorrono a modulare gli effetti attraverso la loro azione coadiuvante, nonché ad aumentare il valore terapeutico e sensoriale degli estratti.

L’inserimento della nuova classe dei flavoalcaloidi completa questo quadro: allargando la gamma di molecole biologicamente attive, si aprono nuove opportunità per la ricerca scientifica. Proprio per questa complessità biologica, la cannabis è considerata un modello di eccellenza per la ricerca fitochimica, in cui l’innovazione nelle tecnologie analitiche e l’approccio multidisciplinare rappresentano strumenti imprescindibili per la scoperta e la valorizzazione di nuovi principi attivi.

Inoltre, questa varietà chimica pone anche una sfida dal punto di vista legislativo. Nel contesto della canapa legale, la differenza netta tra CBD e THC, così come la corretta definizione del ruolo di flavonoidi, terpeni e ora flavoalcaloidi, è essenziale: i prodotti a base di cannabidiolo, come quelli di Justbob, devono essere trasparenti dal punto di vista scientifico e normativo, senza dimenticare che l’uso è destinato a scopi tecnici, collezionistici o di ricerca e non al consumo umano.

In definitiva, il confronto tra flavoalcaloidi, flavonoidi e cannabinoidi mette in evidenza come la cannabis sia molto più di una semplice fonte di THC o CBD; è un ecosistema complesso che continua a rivelare nuove potenzialità e che richiede un approccio scientifico.

L’approfondimento di ciascuna di queste classi molecolari, e delle loro possibili interazioni, può venir considerato il cuore della ricerca sulla cannabis legale, che apre scenari innovativi per il futuro della filiera e della sua valorizzazione tecnica e scientifica.

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Cannabis: un patrimonio fitochimico ancora da esplorare tra ricerca, sostenibilità e nuove applicazioni farmaceutiche

La scoperta e lo studio dei flavoalcaloidi nella cannabis aprono prospettive nuove nella ricerca scientifica. Queste molecole rare, identificate grazie all’innovazione tecnologica e alla tenacia della comunità scientifica, dimostrano come le potenzialità del patrimonio fitochimico della cannabis sono ancora tutte da scoprire. Valorizzare ogni parte della pianta, dalle infiorescenze fino alle foglie spesso trascurate, è una strategia vincente tanto sul piano scientifico quanto su quello della sostenibilità e della differenziazione produttiva.

Il futuro vedrà uno sforzo condiviso tra laboratori di ricerca, aziende, legislatori e appassionati sempre più aggiornati ed esigenti. Alla base di tutto, resta la volontà di promuovere un mercato legale responsabile, in cui la trasparenza e la qualità siano sempre prioritarie, naturalmente nei Paesi in cui le leggi lo permettono.

L’aggiornamento costante sulle scoperte, la valorizzazione delle migliori pratiche e la diffusione di una cultura scientifica rigorosa rappresentano l’unica via per consolidare la fiducia delle persone e garantire un futuro innovativo a tutta la filiera della cannabis legale, al fine di produrre trattamenti farmaceutici efficaci e sicuri.

Flavoalcaloidi nella cannabis: takeaways

  • I flavoalcaloidi rappresentano una scoperta del 2025 che ha identificato 16 nuove molecole ibride nella Cannabis Sativa L., combinando proprietà antiossidanti dei flavonoidi con potenziale farmacologico degli alcaloidi. Questa classe di composti apre prospettive inedite per la farmaceutica naturale e dimostra come il patrimonio biochimico della cannabis rimanga largamente inesplorato;
  • La valorizzazione delle foglie come fonte di flavoalcaloidi trasforma un sottoprodotto in risorsa preziosa, promuovendo economia circolare nella filiera della canapa light. Questi composti privi di effetti psicoattivi offrono opportunità per industria nutraceutica, cosmetica e ricerca tecnica, contribuendo alla sostenibilità attraverso l’utilizzo integrale della pianta;
  • Il fitocomplesso della cannabis si arricchisce oltre i cannabinoidi tradizionali, integrando flavoalcaloidi in un mosaico sinergico dalle potenzialità inesplorate. La presenza variabile tra cultivar suggerisce selezione genetica mirata, mentre le applicazioni spaziano dalla protezione agricola alla ricerca veterinaria.

Flavoalcaloidi nella cannabis: FAQ

Flavoalcaloidi: cosa sono e come sono stati scoperti nella cannabis?

I flavoalcaloidi sono una nuova classe di molecole ibride, che fondono le caratteristiche dei flavonoidi e degli alcaloidi. La loro presenza nella cannabis è stata identificata da un team di ricercatori dell’Università di Stellenbosch, che ha utilizzato sofisticate tecniche di cromatografia liquida bidimensionale e spettrometria di massa, superando le difficoltà di rilevazione legate alla loro rarità.

Qual è il ruolo biologico dei flavoalcaloidi e la loro rilevanza per la canapa light?

Queste molecole combinano le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie dei flavonoidi con il potenziale farmacologico degli alcaloidi, aprendo a nuove ipotesi di ricerca, come la neuroprotezione. La loro identificazione valorizza le foglie di cannabis, tradizionalmente considerate un sottoprodotto, promuovendo un approccio più sostenibile e circolare nell’intera filiera.

In che modo i flavoalcaloidi si distinguono da flavonoidi e cannabinoidi?

I flavoalcaloidi si differenziano per la loro struttura ibrida. A differenza dei cannabinoidi, che agiscono principalmente sul sistema endocannabinoide e includono il THC, i flavoalcaloidi non hanno effetti psicoattivi. Rispetto ai flavonoidi, noti per le loro proprietà antiossidanti, aggiungono una componente alcaloidica, offrendo nuove e intriganti prospettive per la ricerca.