Il legame tra cannabis e dopamina: tra THC e centri del piacere

Il legame tra dopamina e cannabis

Modificato il: 24/08/2023

Il sistema di ricompensa che è in grado di influenzare i nostri processi decisionali

Molte delle decisioni che prendiamo durante la vita quotidiana possono sembrare razionali, ma in realtà sono il frutto di un processo biologico complesso.

Quando, infatti, il nostro cervello trae piacere da una determinata azione, rilascia la dopamina che – poi vedremo come – è in grado di spingerci a ricercare inconsapevolmente quella sensazione ancora e ancora.

Ma come funziona nel dettaglio? In che modo questo trasmettitore può giocare un ruolo chiave nel nostro processo decisionale?

In questo articolo ti spiego cos’è la dopamina, come funziona il sistema di cui fa parte e in che modo questo reagisce all’assunzione della cannabis e delle sostanze da essa derivate (come olio di CBD, hashish, cristalli).

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La dopamina: cos’è e in che modo ci influenza?

La dopamina, come anticipato, fa parte dei numerosi neurotrasmettitori che operano nel nostro organismo e svolge una funzione molto importante: trasmette le informazioni tra i neuroni attraverso le sinapsi.

In particolare, fa parte del cosiddetto sistema di ricompensa del cervello e partecipa anche al meccanismo responsabile del movimento del corpo umano.

Capire come funziona può sembrare complicato, ma in realtà non lo è poi tanto.

Cerchiamo, allora, di saperne di più.

Rilasciando questa sostanza, il nostro organismo definisce cosa per noi è percepito come azione appagante o no, influenzando di conseguenza le nostre decisioni future in merito.

Donna che prova una felicità appagante

Non a caso, infatti, il sistema che gestisce tutti questi processi è noto come sistema di ricompensa.

Ma di cosa si tratta più precisamente? E come funziona nel pratico?

I comportamenti dell’essere umano sono condizionati da molteplici fattori. Tra questi, troviamo i bisogni primari dell’uomo, vale a dire coprirsi, dormire, bere e nutrirsi.

Ma non solo. Infatti esiste tutta una serie di altri bisogni, definiti come secondari, che – una volta soddisfatti – provocano in noi una bella sensazione di piacere. Questa sensazione è definita ricompensa.

Ma come fa il cervello a capire che la causa del nostro piacere è un determinato comportamento?

Mediante la dopamina che, appunto, veicola il messaggio ai nostri neuroni. Chi non ha mai avuto l’acquolina in bocca, di fronte alla sua pietanza preferita… Ecco, questo è un chiaro esempio di come agisce la dopamina. Riconoscendo una situazione già vissuta come appagante, avvisa il tuo cervello che sta per succedere qualcosa che ti darà piacere.

Il discorso è lo stesso anche per quanto riguarda l’eccitamento sessuale. L’organismo si aspetta di provare sensazioni di piacere e soddisfazione, come logica conseguenza della messa in atto di una determinata azione.

La dopamina, quindi, condiziona i nostri stati d’animo momentanei, rafforzando la rete di sinapsi tra i neuroni e in questo modo spinge il sistema di ricompensa a richiedere la realizzazione di quel determinato comportamento ritenuto fonte di appagamento.

Questo sistema, dunque, ha la facoltà di indurre in noi la reiterazione di comportamenti che ci danno qualunque sorta di soddisfazione.

Ma attenzione! Riconoscere se quello stesso comportamento è salutare e costruttivo, è un altro paio di maniche, purtroppo, e non rientra fra le competenze del sistema di ricompensa.

Per il nostro organismo, infatti, non vi è alcuna differenza tra la soddisfazione generata da un buon pasto sano ed equilibrato e una scorpacciata di dolciumi. È appurato, anzi, che la sensazione di ricompensa indotta dall’assunzione di zuccheri sia molto più marcata.

Come puoi vedere, quindi, il cervello – in questo caso, parliamo da un punto di vista chimico e non razionale – non è in grado di distinguere uno stimolo positivo da uno che, se esasperato, non sarà altro che fonte di problematiche di varia natura.

Questo meccanismo, infatti, è esattamente il punto di partenza di svariate dipendenze, come quelle da alcol o droghe. E la cannabis non fa eccezione.

Fumare marijuana suscita una risposta del sistema di ricompensa a causa delle sensazioni piacevoli che induce in chi la assume, ma questo comportamento – se attuato in maniera costante e duratura – può avere conseguenze negative sul nostro organismo.

Ecco dunque che anche il consumo di cannabis (e delle sue sostanze, come hashish, cristalli) come quello di cioccolato, per esempio, non deve essere attuato in modo esagerato, ma con moderazione.

L’eccessivo potenziamento della rete di sinapsi connessa a questo atteggiamento, infatti, può portare a una ricerca costante e eccessiva della sensazione che la origina– in questo caso, l’assunzione di marijuana – senza valutare le conseguenze a lungo termine.

Ma come interagiscono cannabis e dopamina? Vediamolo nel prossimo paragrafo.

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In che modo, quindi, si influenzano marijuana e dopamina?

In che modo si influenzano marijuana e dopamina?

Prima di passare alla relazione chimica che intercorre tra cannabis e dopamina, facciamo un passo indietro e vediamo brevemente come funziona il sistema endocannabinoide.

Tale sistema si serve di piccole molecole vettore, dette endocannabinoidi appunto, che trasmettono messaggi tra le cellule attraverso l’attivazione di due recettori principali, CB1 e CB2.

La funzione del sistema endocannabinoide è di regolare l’omeostasi dell’organismo, è cioè il mantenimento dell’equilibrio interno nonostante le variazioni delle condizioni esterne.

Ciò è possibile attraverso la regolazione di numerosi processi fisiologici e cognitivi, tra i quali umore, appetito e sonno.

Gli endocannabinoidi, come suggerito dal nome, sono presenti all’interno del nostro organismo e sono autoprodotti. Il nostro sistema interno, però, interagisce anche con gli esocannabinoidi che vengono introdotti dall’esterno.

Fanno parte della categoria degli esocannabinoidi sia i medicinali, anche noti come cannabinoidi sintetici, che i fitocannabinoidi, che sono contenuti in alcune piante tra le quali anche la marijuana.

I fitocannabinoidi più conosciuti sono, infatti, il THC e il CBD, i maggiori principi attivi della cannabis, e tra loro il primo ha una rapporto piuttosto stretto proprio con la dopamina.

In parole povere, dunque, ha la capacità di influenzare i suoi livelli sul breve e lungo termine.

Ma in che modo?

Quando l’organismo assume della cannabis, il THC interagisce con i recettori responsabili della regolazione del rilascio della dopamina, inibendoli.

Il risultato? Un rilascio di dopamina notevolmente maggiore di quello rilasciato in condizioni di risposta normale.

Ricapitolando: i livelli di dopamina ci fanno percepire determinati comportamenti come appaganti e il THC induce un rilascio di dopamina più abbondante. Ciò spinge l’organismo a percepire l’assunzione di marijuana come appagante e a cercare di replicare il comportamento per goderne ancora.

Se poi consideriamo l’aspetto della tolleranza – e cioè la capacità dell’organismo di abituarsi alle sostanze assunte, richiedendo dosi progressivamente maggiori per ottenere gli stessi effetti – è molto facile capire come sia facile cadere nel tunnel delle tossicodipendenze.

Ma quali sono le conseguenze di queste reazioni chimiche?

Gli effetti della cannabis sulla dopamina a breve e lungo termine

Le conseguenze della marijuana sui livelli di dopamina sono diverse, se considerate sul breve o lungo periodo.

In questa considerazione, giocano un ruolo fondamentale la quantità di cannabis assunta e la frequenza con cui questo avviene.

Parlando di effetti a breve termine, pare che la reazione dell’organismo all’assunzione del THC consista nell’innalzamento della quantità di dopamina rilasciata.

Il tetraidrocannabinolo, quindi, sembra avere un’influenza diretta sul funzionamento del sistema di ricompensa.

Passando, invece, alle conseguenze a lungo termine dell’assunzione di marijuana, sembra che il consumo prolungato induca modifiche irreversibili nel sistema dopaminergico.

Pare, infatti, che l’abitudine all’assunzione di THC sia direttamente collegata a livelli motivazionali considerevolmente bassi e alla sperimentazione frequente di stati d’animo negativi.

Per concludere, qual è la relazione tra la marijuana e la dopamina?

Per comprendere il funzionamento dell’interazione tra cannabis e dopamina, si rende necessario indagare sul meccanismo che regola le funzioni del sistema endocannabinoide. In particolare, su come l’assunzione dei cannabinoidi – soprattutto il THC – sia in grado di influenzare il sistema di ricompensa cerebrale.

Le conseguenze sul breve termine consistono nell’aumento dei livelli di dopamina nell’organismo, mentre sul lungo periodo, invece, sembra che il consumo costante porti ad un progressivo aumento della tolleranza al THC, e di conseguenza, ad una diminuzione della sensibilità al rilascio di dopamina.

Pare, infatti, che i soggetti che hanno fatto uso di marijuana per lunghi periodi siano spesso soggetti a stati d’animo negativi e abbiano livelli di motivazione personale inferiori alla media.

Insomma, per beneficiare degli effetti positivi connessi all’assunzione della cannabis, è necessario non esagerare.

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