Alcaloidi della cannabis: facciamo chiarezza su un argomento ancora molto discusso

Alcaloidi della cannabis: facciamo chiarezza su un argomento ancora molto discusso | Justbob

Pubblicato il: 02/05/2025

La complessità chimica della cannabis non include gli alcaloidi come protagonisti, ma si fonda sull’interazione tra cannabinoidi, terpeni e flavonoidi

La cannabis è una pianta che affascina l’umanità da millenni, non solo per i suoi molteplici usi ma anche per la sua incredibile complessità chimica. Al suo interno, un vero e proprio laboratorio naturale sintetizza centinaia di composti bioattivi.

Sebbene l’attenzione si concentri solitamente sui cannabinoidi come il THC e il CBD, e sui terpeni che ne definiscono l’aroma, essa contiene tante altre molecole dalle interessanti proprietà. Ma l’aspetto forse più intrigante rispetto al suo contenuto riguarda il fatto che, nonostante decenni di intense ricerche scientifiche, la sua esatta composizione chimica è ancora oggetto di studio e, per certi versi, di dibattito.

L’incredibile variabilità genetica tra le diverse cultivar di Cannabis Sativa L., unita alla presenza di centinaia (se non migliaia) di metaboliti minori e alle loro complesse interazioni, rende la mappatura completa del suo fitocomplesso un compito arduo e in continua evoluzione.

Proprio questa continua scoperta di nuovi dettagli alimenta la discussione sulla presenza e sul ruolo di specifiche classi di composti. Un esempio calzante è proprio la questione degli alcaloidi: sono davvero presenti nella cannabis? E se sì, in quali quantità e con quale funzione?

Questa famiglia di composti azotati, noti per la loro potente attività biologica in altre specie vegetali, è stata talvolta menzionata in relazione alla canapa, ma le evidenze scientifiche richiedono un’analisi attenta.

Questo articolo si propone di fare luce su questo aspetto specifico, esplorando le conoscenze scientifiche attuali sugli alcaloidi nella cannabis, distinguendoli dai componenti chimici predominanti e cercando di fornire un quadro chiaro e aggiornato, utile anche per comprendere meglio prodotti derivati come la canapa light.

Cos’è un alcaloide? Definizione e caratteristiche generali

Prima di chiederci se la cannabis li contenga, cerchiamo di definire con precisione cosa sono gli alcaloidi.

Essi rappresentano una classe estremamente ampia e diversificata di composti chimici organici naturali. La loro caratteristica chimica distintiva è la presenza di almeno un atomo di azoto, solitamente inserito all’interno di una struttura ad anello (eterociclo). Questa presenza conferisce loro proprietà basiche (alcaline), da cui deriva il loro nome.

Gli alcaloidi sono prevalentemente prodotti dal metabolismo secondario delle piante (si stima che circa il 15-20% delle specie vegetali li produca), ma possono essere sintetizzati anche da alcuni funghi, batteri e persino animali. La loro biosintesi parte spesso da amminoacidi (come triptofano, tirosina, lisina) attraverso complesse vie metaboliche.

Nelle piante, non sono uniformemente distribuiti ma tendono ad accumularsi in tessuti specifici come semi, foglie, radici, corteccia o frutti, dove svolgono funzioni cruciali. La più comune è la difesa chimica: il loro sapore spesso amaro e la loro potenziale tossicità li rendono un efficace deterrente contro erbivori e patogeni.

Molti alcaloidi, tuttavia, possiedono anche spiccate attività farmacologiche sull’uomo e altri animali, interagendo in modo specifico con recettori del sistema nervoso o di altri sistemi biologici. Questa interazione biologica mirata li ha resi preziosi in medicina (morfina, chinina), ma anche pericolosi come veleni (stricnina) o sostanze d’abuso (cocaina, nicotina).

La straordinaria varietà strutturale degli alcaloidi continua a renderli un campo fertile per la ricerca fitochimica e farmacologica.

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Metaboliti primari vs. secondari: il contesto biochimico della pianta

Per comprendere appieno il ruolo di composti come alcaloidi, cannabinoidi e terpeni, è utile introdurre la distinzione tra metaboliti primari e secondari nelle piante.

I metaboliti primari sono sostanze essenziali per la vita stessa della pianta, coinvolte nei processi fondamentali di crescita, sviluppo e riproduzione. Appartengono a questa categoria gli zuccheri (come glucosio e saccarosio, frutto della fotosintesi), gli amminoacidi (costituenti delle proteine), gli acidi nucleici (DNA ed RNA) e i lipidi (componenti delle membrane cellulari). Sono composti ubiquitari, presenti in quasi tutte le cellule vegetali e in tutti gli organismi viventi.

I metaboliti secondari, invece, non sono direttamente coinvolti nei processi vitali fondamentali, ma svolgono ruoli ecologici cruciali. La loro produzione è spesso specie-specifica o limitata a particolari tessuti o fasi di sviluppo. Alcaloidi, terpenoidi (terpeni), composti fenolici (flavonoidi, tannini) e, nel caso della cannabis, i cannabinoidi, rientrano in questa categoria.

La loro funzione principale è mediare l’interazione della pianta con l’ambiente: difesa da erbivori e patogeni (tossicità, sapore amaro, proprietà antimicrobiche), protezione da stress abiotici (radiazioni UV, siccità), attrazione di impollinatori (colori, profumi) o di organismi simbionti, e persino comunicazione tra piante (allelopatia). La straordinaria diversità chimica dei metaboliti secondari riflette la pressione evolutiva e gli adattamenti specifici di ogni specie vegetale al proprio ecosistema.

Chicchi di caffè e di cacao | Justbob

Alcaloidi famosi: esempi noti nel mondo vegetale

Il mondo degli alcaloidi è popolato da molecole che hanno segnato la storia umana, nel bene e nel male. Basti pensare alla morfina, capostipite degli oppioidi, isolata dal lattice del papavero da oppio. Questo potente analgesico ha rivoluzionato la terapia del dolore ma è anche all’origine di gravi problemi di dipendenza.

Un altro alcaloide universalmente noto è la caffeina, presente nei chicchi di caffè, nelle foglie di tè, nelle fave di cacao e in altre piante. È lo stimolante legale più consumato al mondo, apprezzato per la sua capacità di aumentare la vigilanza e ridurre la fatica.

Dalla pianta del tabacco si estrae, poi, la nicotina, un alcaloide che agisce come potente stimolante del sistema nervoso autonomo, responsabile della forte dipendenza associata al fumo.

Le foglie della pianta di coca), masticate per secoli dalle popolazioni andine, invece, contengono la cocaina, un alcaloide con effetti stimolanti e anestetici locali, ma tristemente noto per il suo elevato potenziale d’abuso.

Altri esempi significativi includono la chinina (dalla corteccia di Cinchona officinalis), primo farmaco efficace contro la malaria; l’atropina (da Atropa belladonna), usata in medicina per dilatare le pupille e come antispastico; la stricnina (da Strychnos nux-vomica), un tempo usata come stimolante e oggi nota come potente veleno. Questi pochi esempi bastano a illustrare l’incredibile spettro di attività biologiche e l’impatto profondo che gli alcaloidi hanno avuto e continuano ad avere sulla società e sulla medicina.

Esistono davvero alcaloidi nella Cannabis Sativa L.? Uno sguardo alla ricerca

Veniamo ora al cuore della questione: la cannabis contiene alcaloidi in quantità significative?

Sebbene la pianta sia un vero scrigno di metaboliti secondari, la presenza di alcaloidi “veri” (strutturalmente definiti dalla presenza di azoto eterociclico) è stata oggetto di dibattito e, ad oggi, è considerata estremamente limitata o trascurabile dalla maggior parte della comunità scientifica.

Alcuni studi, soprattutto negli anni ’70, riportarono l’isolamento di tracce di composti azotati dalla cannabis, a cui furono dati nomi come cannabisativina e anidrocannabisativina, classificandoli come alcaloidi. Tuttavia, questi risultati sono stati difficili da replicare e quantificare.

Le moderne tecniche analitiche, come la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) e la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS), che permettono un’analisi molto più fine e accurata del fitocomplesso della cannabis, non hanno confermato la presenza consistente o rilevante di questi o altri alcaloidi classici.

È possibile che le segnalazioni iniziali fossero dovute a contaminazioni o a interpretazioni errate dei dati con tecnologie meno sofisticate. Inoltre, la confusione può sorgere dal fatto che alcuni derivati sintetici dei cannabinoidi, o alcuni prodotti di degradazione, possono contenere azoto, ma ciò non rende i cannabinoidi naturali degli alcaloidi.

La conclusione scientifica prevalente è che, a differenza di molte altre piante psicoattive o medicinali, la Cannabis Sativa L. basa la sua peculiarità chimica e farmacologica non sugli alcaloidi, ma su altre classi di composti, rendendo la presenza di alcaloidi quasi irrilevante dal punto di vista quantitativo e funzionale.

Cannabinoidi, terpeni e flavonoidi: i veri protagonisti chimici della cannabis

Se gli alcaloidi sono assenti o presenti solo in tracce infinitesimali, quali sono le molecole che rendono la cannabis così unica?

La risposta risiede principalmente in tre grandi famiglie di metaboliti secondari: cannabinoidi, terpeni e flavonoidi.

I cannabinoidi sono i composti più specifici e studiati della cannabis, quasi esclusivi di questa pianta. Si tratta di composti terpenofenolici, di cui ne sono stati identificati oltre 150. I più noti sono il tetraidrocannabinolo (THC), responsabile primario degli effetti psicotropi, e il cannabidiolo (CBD), non psicotropo e al centro di intense ricerche per le sue potenziali applicazioni terapeutiche.

Accanto a loro troviamo una miriade di altri cannabinoidi minori (CBG, CBN, CBC, THCV, CBDV etc.), presenti in concentrazioni variabili a seconda della genetica della pianta e delle condizioni di coltivazione, che contribuiscono al profilo complessivo.

I terpeni (o terpenoidi) sono idrocarburi volatili responsabili della vasta gamma di aromi e sapori che caratterizzano le diverse varietà di cannabis (dal pino al limone, dalla lavanda alla terra). Composti come mircene, limonene, pinene, linalolo, cariofillene non solo definiscono l’esperienza organolettica ma sembrano anche interagire sinergicamente con i cannabinoidi, modulandone gli effetti in quello che viene chiamato “effetto entourage“.

Infine, i flavonoidi, un’altra classe di composti fenolici diffusi nel regno vegetale (responsabili dei colori di molti fiori e frutti), sono presenti anche nella cannabis (es. canflavina A, B, C, apigenina, quercetina). Essi contribuiscono alle proprietà antiossidanti e antinfiammatorie della pianta e potrebbero anch’essi partecipare all’effetto entourage. È questa complessa interazione tra cannabinoidi, terpeni e flavonoidi a definire il profilo chimico e gli effetti di ciascuna specifica cultivar di cannabis.

Cime di cannabis poggiate su di un tavolino di legno | Justbob

Il ruolo ecologico dei metaboliti secondari nella pianta di cannabis

Abbiamo chiarito che il ruolo difensivo e di interazione con l’ambiente, spesso attribuito agli alcaloidi in altre specie, nella cannabis è svolto magistralmente dal suo ricco arsenale di cannabinoidi, terpeni e flavonoidi. Questi composti non sono prodotti “per caso”, ma rappresentano raffinati adattamenti evolutivi.

La resina appiccicosa prodotta dai tricomi ghiandolari (particolarmente abbondanti sulle infiorescenze femminili non impollinate) è un concentrato di questi metaboliti. Questa concentrazione naturale di composti nei tricomi è alla base della produzione di derivati specifici, come l’hashish legale, apprezzato per la sua ricchezza in questi principi attivi, nel rispetto dei limiti di THC previsti dalla normativa.

I cannabinoidi, ad esempio, mostrano proprietà antibatteriche e antifungine, proteggendo la pianta da infezioni. Il loro accumulo sulla superficie dei fiori potrebbe anche servire a proteggere i delicati organi riproduttivi e i semi in via di sviluppo dalle radiazioni UV-B, particolarmente intense in alcune delle aree di origine della cannabis.

I terpeni, con i loro odori pungenti, agiscono come repellenti per molti insetti erbivori, mentre alcuni possono attrarre insetti predatori che si nutrono dei parassiti della cannabis, in una sorta di difesa indiretta. Il sapore, spesso amaro o resinoso, può scoraggiare i mammiferi dal cibarsene. Si ipotizza anche un ruolo nella protezione contro lo stress idrico e nelle interazioni allelopatiche (inibizione della crescita di piante concorrenti vicine).

L’insieme di queste funzioni dimostra come il peculiare fitocomplesso della cannabis sia il risultato di una lunga storia evolutiva, finalizzato a massimizzare le possibilità di sopravvivenza e riproduzione della pianta nel suo specifico ambiente naturale.

La ricerca scientifica e la diversità chimica della canapa, inclusa la light

La ricerca sulla composizione chimica della Cannabis Sativa L. è un campo estremamente dinamico. La complessità del suo fitocomplesso, con centinaia di composti identificati e potenzialmente migliaia ancora da scoprire o caratterizzare, rende ogni pianta un universo chimico a sé stante.

La variazione nel profilo di cannabinoidi, terpeni e flavonoidi è enorme tra le diverse cultivar (o “strain”), selezionate dall’uomo per millenni per scopi differenti (fibra, semi, resina). Questa diversità è alla base delle differenti proprietà organolettiche, degli effetti e delle potenziali applicazioni.

Un esempio emblematico di questa selezione è la cannabis light, definita in Italia come quella Cannabis Sativa L. con un tenore di THC inferiore ai limiti legali (attualmente lo 0,5%/0,6% tollerato su base secca). Queste varietà sono state sviluppate per massimizzare la produzione di altri cannabinoidi, tipicamente il CBD, pur rimanendo nei parametri normativi.

È interessante notare come la legislazione vari notevolmente anche all’interno dell’Europa, con limiti di THC che possono differire da paese a paese, creando un panorama complesso per produttori e consumatori. Un panorama, peraltro, che si articola ulteriormente in relazione all’uso consentito per i derivati della cannabis light, come le infiorescenze di canapa legale, gli oli al CBD o l’hashish al cannabidiolo.

Infatti, la complessità normativa non riguarda solo il contenuto massimo di THC, ma si estende in modo significativo alle finalità d’uso ammesse per questi prodotti, specialmente quelli ricchi di CBD.

Mentre alcuni Paesi europei stanno sviluppando quadri normativi che permettono o regolamentano specifiche forme di consumo (ad esempio alimentare, cosmetico o per il benessere) per prodotti a base di canapa a basso THC, altri adottano approcci differenti.

Può capitare, come nel caso specifico dell’Italia, che la vendita di questi derivati sia considerata legale (rientrando nell’ambito della legge sulla canapa industriale, L. 242/2016), ma che il loro utilizzo lecito sia circoscritto a finalità diverse dal consumo umano.

In base all’interpretazione prevalente delle normative italiane vigenti, infatti, prodotti come le infiorescenze di cannabis light non possono essere venduti per essere fumati o ingeriti, bensì per usi specifici quali ricerca e sviluppo, uso tecnico, florovivaismo, collezionismo, oppure come elementi decorativi o per profumare gli ambienti. Questa distinzione è cruciale e sottolinea l’importanza, per chi acquista, di rivolgersi a fornitori seri e trasparenti come JustBob, che operano nel pieno rispetto della legge italiana, garantendo non solo la qualità e la tracciabilità del prodotto, ma anche fornendo chiare indicazioni sulle finalità d’uso consentite.

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Alcaloidi nella cannabis: tra scienza e corretta informazione

Tirando le somme, l’indagine sulla presenza di alcaloidi nella cannabis ci porta a una conclusione abbastanza netta: nonostante la loro importanza in molte altre piante, nella Cannabis Sativa L. essi giocano un ruolo marginale o del tutto assente.

Le evidenze scientifiche moderne, supportate da tecniche analitiche avanzate, non confermano la presenza significativa di questa classe di composti azotati. La vera ricchezza chimica della cannabis risiede altrove, nel suo complesso e affascinante arsenale di cannabinoidi, terpeni e flavonoidi.

Sono queste molecole a orchestrare le interazioni della pianta con l’ambiente, a definirne le proprietà organolettiche e a modularne gli effetti biologici, oggetto di continua ricerca scientifica. Distinguere correttamente tra queste diverse classi di composti è fondamentale per una comunicazione accurata e consapevole, lontana da semplificazioni o informazioni errate.

Alcaloidi della cannabis: takeaways

  • Sebbene talvolta menzionati, gli alcaloidi non risultano presenti in modo significativo nella Cannabis Sativa L. Le moderne tecniche analitiche non ne confermano la presenza stabile o rilevante. Alcuni studi storici avevano ipotizzato l’esistenza di composti azotati come la cannabisativina, ma queste osservazioni non sono state validate in modo robusto. La peculiarità chimica della pianta non risiede dunque in questa classe di metaboliti, ma piuttosto in cannabinoidi, terpeni e flavonoidi.
  • Queste tre classi di metaboliti secondari definiscono l’identità chimica della cannabis. I cannabinoidi come THC e CBD sono responsabili degli effetti più noti; i terpeni contribuiscono agli aromi e modulano l’azione farmacologica con il cosiddetto “effetto entourage”; i flavonoidi, pur meno noti, hanno proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. È la loro interazione complessa a determinare l’effetto finale della pianta, non gli alcaloidi.
  • La grande diversità tra le cultivar di Cannabis Sativa L. si traduce in profili chimici unici, con ampie variazioni nella concentrazione dei metaboliti attivi. Questo vale anche per la cannabis light, sviluppata per contenere bassi livelli di THC ma alti livelli di CBD. Tuttavia, in Italia e in molti altri Paesi europei, l’uso consentito dei derivati di cannabis light resta limitato a scopi non alimentari né inalatori, il che richiede particolare attenzione alla normativa e alla trasparenza del fornitore.

Alcaloidi della cannabis: FAQ

Cosa sono gli alcaloidi e quale ruolo hanno nelle piante?

Gli alcaloidi sono composti chimici organici naturali caratterizzati dalla presenza di almeno un atomo di azoto, spesso in una struttura ad anello. Sono prodotti principalmente dalle piante attraverso il metabolismo secondario e svolgono funzioni come la difesa da erbivori e patogeni. Molti alcaloidi hanno attività farmacologiche rilevanti, rendendoli importanti in medicina ma anche potenzialmente tossici.

La cannabis contiene alcaloidi?

La presenza di alcaloidi nella Cannabis Sativa L. è considerata estremamente limitata o trascurabile. Studi passati hanno ipotizzato la presenza di composti azotati, ma le analisi più recenti e precise non confermano la presenza significativa di alcaloidi classici nella pianta. La cannabis è invece ricca di cannabinoidi, terpeni e flavonoidi.

Quali sono i composti chimici più rilevanti nella cannabis?

I principali composti chimici della cannabis sono i cannabinoidi (come THC e CBD), i terpeni e i flavonoidi. Queste molecole definiscono le proprietà aromatiche, organolettiche e biologiche della pianta e interagiscono tra loro in modo complesso, contribuendo agli effetti complessivi noti come effetto entourage.