Perché la Thailandia vieta la cannabis? Tutto quello che c’è da sapere sul nuovo cambio di rotta

Perché la Thailandia vieta la cannabis? Tutto quello che c’è da sapere sul nuovo cambio di rotta | Just Bob

Pubblicato il: 08/10/2025

Dopo aver avuto il ruolo di pioniere per la depenalizzazione della cannabis in Asia, la Thailandia ha di recente fatto la scelta opposta: scopriamo cosa sta succedendo

Il 9 giugno 2022, il governo thailandese ha rimosso la cannabis dall’elenco delle sostanze stupefacenti di Categoria 5, un provvedimento che ha dato il via a un’industria del valore potenziale di miliardi di dollari. Questa “zona grigia” normativa, caratterizzata da una depenalizzazione senza una chiara legalizzazione ricreativa, ha però portato a una proliferazione incontrollata di negozi e all’emergere di problemi sociali e sanitari. In risposta a questa situazione confusionaria, nel giugno di quest’anno il governo ha riclassificato i fiori di cannabis come “sostanze controllate”, limitandone l’uso in modo rigoroso ai soli fini medici.

Le nuove normative impongono l’obbligo di una prescrizione medica per l’acquisto e la certificazione obbligatoria per coltivatori e venditori; sono previste severe sanzioni per l’uso non autorizzato. In questo contesto così rigido, la sopravvivenza di migliaia di operatori del settore è a rischio; inoltre, l’incertezza legale e il pericolo di venir sanzionati pesantemente possono allontanare sia gli investitori che i turisti.

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Il paradosso della cannabis in Thailandia: dal “Far West” alle rigide restrizioni attuali

Come accennato, la Thailandia ha a lungo mantenuto una posizione che possiamo definire di avanguardia, diventando la prima nazione del continente a legalizzare la cannabis per scopi medici nel 2018. Questa decisione audace è stata ulteriormente estesa con il già citato provvedimento del 9 giugno 2022.

La mossa, promossa dal partito Bhumjaithai, allora parte della coalizione di governo e guidato dall’ex ministro della Sanità Anutin Charnvirakul, mirava a rilanciare l’economia nazionale e a modernizzare le leggi sulle droghe del Paese. Questo passo ha aperto la strada a un mercato fiorente, con migliaia di dispensari che sono sorti a Bangkok e in altre aree turistiche, attraendo un nuovo tipo di turismo e creando un settore vivace e dinamico.

La depenalizzazione del 2022 ha rappresentato indubbiamente una svolta, ma è stata caratterizzata da un’ambiguità di fondo. Se da un lato la rimozione della cannabis dall’elenco dei narcotici ha reso il possesso per uso personale tecnicamente legale, dall’altro non è mai stata approvata una legge quadro che regolamentasse esplicitamente l’uso ricreativo. Al contrario, le autorità, tra cui l’Autorità per il Turismo della Thailandia (TAT), hanno più volte affermato che l’uso ricreativo non è mai stato “legalmente autorizzato” e che la legge ha sempre previsto un utilizzo per scopi medici, di ricerca e sanitari.

Questa incongruenza ha generato un vuoto normativo che ha dato il via a una situazione piuttosto confusionaria e, se vogliamo, “selvaggia”. Migliaia di dispensari hanno operato senza linee guida chiare, vendendo prodotti non testati e creando una situazione di incertezza sia per le persone comuni che per gli imprenditori desiderosi di investire nel settore.

Sebbene la vendita di prodotti della cannabis richiedesse una licenza ufficiale, la mancanza di un quadro legislativo solido ha permesso al mercato di proliferare in modo caotico. Questo scenario ha permesso l’esplosione di un mercato che ha offerto prodotti di ogni tipo, inclusi estratti e infiorescenze di alta qualità, ma anche prodotti di dubbia provenienza.

La mancata distinzione chiara tra la cannabis ad uso ricreativo e quella a basso tenore di THC ha aggiunto ulteriore confusione. In questo contesto, anche i prodotti a base di CBD sono state liberalizzati, ma la loro vendita non è stata sempre distinta da quella di infiorescenze ad alto contenuto di THC.

Per fare un confronto con la realtà europea, le aziende del settore della canapa light nel nostro continente si sono dovute confrontare con normative articolate che specificano con chiarezza cosa è consentito e cosa non lo è; in alcuni casi, persino la vendita di prodotti a base di cannabidiolo è sottoposta a restrizioni, quando non vietata.

In Thailandia, l’assenza di una legislazione precisa ha reso il monitoraggio della qualità e della sicurezza dei prodotti quasi impossibile, portando a un inevitabile passo indietro.

Thailandia: immagine evocativa | Just Bob

Cannabis legale: le motivazioni del dietrofront thailandese, tra problemi economici e sociali

La rapida inversione di rotta legislativa è stata motivata da una combinazione di fattori sociali e politici.

Il governo ha giustificato la sua nuova posizione citando i “gravi problemi sociali” emersi a causa dell’accesso non regolamentato, in particolare tra i minori: l’assenza di controlli ha sollevato preoccupazioni riguardo alla salute pubblica e alla sicurezza.

Allo stesso tempo, il turismo della cannabis, nato a seguito della liberalizzazione del 2022, ha generato problemi e “scandali” di diversa natura, per esempio i casi di contrabbando in cui cittadini stranieri sono stati arrestati nel tentativo di esportare ingenti quantità di cannabis dal Paese.

Il dibattito interno al paese ha visto contrapporsi i sostenitori della riforma, che sottolineavano i vantaggi economici e un potenziale mercato da 1,2 miliardi di dollari entro il 2025, e i proibizionisti, che ponevano l’accento sui rischi per la salute pubblica, specialmente sui giovani. L’assenza di una chiara regolamentazione è stata sfruttata dagli oppositori alla liberalizzazione della cannabis per chiedere un passo indietro: ogni “incidente” legato all’utilizzo di prodotti non sicuri o all’accesso dei minori alla sostanza è stato usato come prova del fallimento della depenalizzazione.

Questa situazione mette in evidenza quanto sia necessaria una regolamentazione robusta ma razionale, che non solo delimiti l’uso e la vendita, ma che stabilisca anche standard di qualità e sicurezza. L’evoluzione della normativa in Thailandia suggerisce che la liberalizzazione dev’essere accompagnata da un piano di implementazione chiaro e da un’educazione pubblica adeguata. Un’analisi scientifica del dibattito, infatti, non può prescindere da una valutazione dei rischi associati al consumo non controllato, in particolare per categorie vulnerabili. A questo proposito, il CBD, che non presenta gli stessi rischi psicoattivi, può essere un valido esempio di come una sostanza derivata dalla cannabis possa essere regolamentata in modo differente per usi specifici, come la produzione di olio di CBD o altri prodotti. La distinzione tra THC e CBD è un elemento chiave che il governo thailandese sembra ora voler enfatizzare, pur con misure che appaiono restrittive per l’intero settore.

Il nuovo quadro normativo thailandese: l’emendamento di giugno 2025

Come abbiamo appena visto, il governo thailandese, a partire dallo scorso giugno, ha riclassificato i fiori di cannabis come “sostanze controllate”. Il nuovo quadro normativo restringe drasticamente l’accesso e l’uso, limitandolo esclusivamente a scopi medici. La vendita al dettaglio ora richiede che l’acquirente sia in possesso di una prescrizione medica valida, rilasciata in Thailandia da un medico, dentista o professionista di medicina tradizionale autorizzato.

Detto in breve, la quantità di prodotto che può essere venduta è limitata a una fornitura di 30 giorni, con una soglia arbitraria fissata a 30 grammi al mese per paziente. L’uso ricreativo, sebbene mai formalmente autorizzato, è ora attivamente perseguito. Il consumo in luoghi pubblici, come parchi, spiagge, scuole, università e ospedali, è severamente proibito, e le violazioni possono comportare sanzioni salatissime, tra cui multe fino a 25.000 baht thailandesi e pene detentive fino a 3 mesi.

L’importanza di una regolamentazione chiara e scientifica è evidente: la distinzione tra cannabis legale, ad alto contenuto di CBD, ma senza sostanze psicotrope, e quella illegale, che contiene concentrazioni elevate di THC, è al centro del dibattito legislativo in tutto il mondo.

Mentre in Europa si lavora per stabilire soglie precise per la coltivazione e la vendita (in alcuni Paesi vietata o fortemente limitata), la Thailandia ha optato per l’approccio radicale. Questa mossa sottolinea la differenza fondamentale di approccio tra la depenalizzazione de facto e una regolamentazione organica. Il ritorno a un regime di prescrizione medica valida è una mossa che riconosce esplicitamente i potenziali rischi associati all’uso non controllato, ma solleva anche interrogativi sulla sua implementazione.

Requisiti medici eccessivamente restrittivi, infatti, di fatto limitano l’accesso anche a coloro che potrebbero beneficiare della canapa legale per condizioni mediche meno gravi, un’area di applicazione che non è sempre riconosciuta dalla medicina convenzionale ma che ha un vasto seguito tra le persone.
L’approccio thailandese, in sostanza, preferisce la cautela alla sperimentazione di un mercato regolamentato in maniera più aperta.

Thailandia vieta cannabis immagine di esempio | Just Bob

Thailandia e cannabis: la regolamentazione per il settore commerciale

Il nuovo emendamento del Paese asiatico impone requisiti stringenti a tutti gli operatori del settore.

I coltivatori e gli esportatori di fiori di cannabis sono ora tenuti a ottenere una certificazione GACP (Buone Pratiche Agricole e di Raccolta) dal Dipartimento di Medicina Tradizionale e Alternativa (DTAM). Questo processo può richiedere dai 90 ai 180 giorni, e il certificato, valido per 3 anni, funge da licenza di coltivazione de facto.

La tracciabilità è un requisito chiave: i venditori devono poter esibire il modulo Phor.Tor.27 per dimostrare la fonte dei loro acquisti in caso di ispezione di polizia. In un contesto come quello europeo, dove la filiera di produzione della cannabis legale è strettamente regolamentata, aziende come Justbob si conformano a normative stringenti per garantire la tracciabilità e la qualità dei prodotti che, ricordiamo, sono destinati a uso esclusivamente tecnico e collezionistico. La normativa italiana, ad esempio, pur non permettendo la vendita per consumo, richiede standard elevati per la coltivazione della canapa light e la produzione di derivati, come l’olio di cbd e i prodotti farmaceutici.

L’imposizione di una certificazione GACP in Thailandia mira a raggiungere un livello di controllo analogo, ma la sua implementazione improvvisa rischia di distruggere il tessuto economico esistente, composto in gran parte da piccole e medie imprese che potrebbero non avere le risorse per sostenere i costi e i tempi della burocrazia. Questo approccio restrittivo potrebbe, in maniera paradossale, favorire il mercato nero, dove non vi sono controlli di qualità e la sicurezza dei consumatori è ancora più a rischio.

La decisione del governo thailandese di limitare l’uso ricreativo è la dimostrazione che una regolamentazione chiara è indispensabile per il mercato legale della cannabis.

La cannabis in Asia tra proibizionismo rigido e rare eccezioni

La Thailandia, dopo aver adottato una posizione liberista, ha dunque cambiato rotta e ha limitato severamente l’uso della cannabis: come la vendita non autorizzata e la pubblicità sono vietati, così come l’utilizzo ricreativo, con sanzioni rilevanti per chi viola la normativa.

In molti paesi asiatici le leggi sono particolarmente restrittive. In Malesia, Singapore e Indonesia, il possesso di cannabis, anche in piccole quantità, è considerato reato grave, spesso punito con condanne pesanti e, in alcuni casi, anche la pena di morte. La Corea del Sud e il Giappone prevedono sanzioni estremamente dure, inclusa la detenzione, per uso personale o traffico.

A differenza di questi paesi, la Thailandia permette tuttora la vendita di prodotti come CBD e canapa light entro rigorosi limiti di THC, ma solo per finalità tecniche o terapeutiche e previa registrazione. Questa parziale apertura rappresenta un’eccezione in Asia, dove l’apertura verso regole più permissive rimane molto limitata.

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Il futuro incerto della cannabis in Thailandia (e in altri paesi)

La Thailandia si presenta come il perfetto caso di studio sui rischi di una liberalizzazione non accompagnata da un quadro normativo chiaro.

La transizione da una depenalizzazione di fatto a una regolamentazione medica stretta è stata una reazione politica alla mancanza di controllo. La Thailandia, pur rimanendo un pioniere per aver intrapreso questa strada, ha dimostrato la vulnerabilità di un mercato non regolamentato, fornendo ai suoi oppositori le motivazioni per un’inversione di rotta drastica.

La riclassificazione dei fiori di cannabis come sostanze controllate è un segnale forte del governo di voler ristabilire l’ordine e la legalità, ma rischia di compromettere il potenziale economico del settore. L’approccio draconiano scelto dalla Thailandia, ovvero la necessità di una prescrizione medica per ogni acquisto di cannabis a fini terapeutici, ignora le complessità del mercato. L’esperienza di altre giurisdizioni, dove la cannabis legale e i prodotti a base di CBD sono stati regolamentati con successo, suggerisce che un approccio più sfumato e scientifico, che distingua in modo netto tra THC e CBD, potrebbe essere più efficace.

La vendita controllata della canapa light, ad esempio, può coesistere con una normativa restrittiva sul THC senza che ciò comporti una “criminalizzazione di massa” e la creazione di un mercato nero. La lezione dalla Thailandia è chiara: la liberalizzazione deve essere accompagnata da un disegno di legge ad hoc ben strutturato, scientificamente fondato e socialmente accettabile. Senza di esso, si rischia un ritorno al passato che non beneficia nessuno.

Thailandia vieta la cannabis: takeaways

  • Il nuovo quadro normativo thailandese ha riclassificato la cannabis come sostanza controllata, che richiede una prescrizione medica e prevede sanzioni pesanti per l’uso non autorizzato; la scelta è una reazione ai problemi sociali e sanitari creati dalla depenalizzazione parziale del 2022, che ha generato un vuoto normativo e una situazione caotica;
  • L’assenza di una chiara legislazione quadro, che non ha mai legalizzato esplicitamente l’uso ricreativo, ha generato incertezza e favorito il mercato nero, sollevando preoccupazioni sulla salute pubblica; il ritorno a un regime di prescrizione medica sottolinea la necessità di una regolamentazione robusta;
  • La drastica inversione di rotta rischia di compromettere il potenziale economico del settore e danneggia migliaia di operatori, allontanando investitori e turisti a causa dei requisiti burocratici stringenti; la Thailandia si conferma un caso di studio sui rischi di una liberalizzazione senza una normativa strutturata.

Thailandia vieta la cannabis: FAQ

Perché la Thailandia ha deciso di vietare nuovamente la cannabis?

La Thailandia ha invertito la rotta sulla cannabis a causa dei problemi sociali e sanitari emersi dopo la depenalizzazione del 2022, una mossa che ha generato un mercato caotico.
In risposta alle crescenti preoccupazioni per la salute pubblica, soprattutto per l’accesso alla sostanza da parte dei minori, il governo ha deciso di intervenire in modo deciso.
La nuova politica mira a limitare l’uso della cannabis ai soli scopi medici, ponendo fine all’esperimento di liberalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi anni.

Quali sono le nuove regole per la cannabis in Thailandia?

Le nuove norme riclassificano i fiori di cannabis come “sostanze controllate”, restringendo drasticamente l’accesso e l’uso solo per finalità terapeutiche e con prescrizione medica.
Di conseguenza, l’uso ricreativo è diventato severamente proibito e viene attivamente perseguito con sanzioni che includono multe elevate e possibili pene detentive.
Anche i coltivatori e i venditori devono ora aderire a requisiti burocratici e certificazioni molto più rigidi, rendendo più difficile operare nel settore.

Qual è l’impatto di queste nuove leggi su imprese e turismo?

Questo drastico cambio di rotta sta avendo un impatto economico molto negativo sul settore nato dopo il 2022, mettendo a rischio la sopravvivenza di migliaia di imprese.
L’incertezza legale creata dalle nuove norme, insieme a complessi requisiti burocratici e al timore di sanzioni, sta scoraggiando sia gli investitori che i turisti.
Questa situazione compromette il potenziale economico di un mercato che, fino a poco tempo fa, era considerato fiorente e in rapida espansione nel Paese.